Quando Stati Uniti e Unione Sovietica vivevano sospesi sull’orlo dell’apocalisse nucleare, Mosca decise di spingersi oltre ogni immaginazione. Nacque così il sistema Perimeter, conosciuto con un nome ancora più inquietante: Dead Hand, la “mano morta”.

Un dispositivo pensato per assicurare una rappresaglia atomica anche se il Cremlino fosse stato annientato da un attacco improvviso.

L’idea prese forma negli anni Settanta, quando la corsa agli armamenti e i progetti statunitensi come lo “Star Wars” spaziale di Ronald Reagan alimentarono i timori sovietici. Il principio era semplice: un sistema “fail-deadly”, cioè in grado di reagire automaticamente al collasso della catena di comando.

Se sensori sotterranei avessero rilevato luce, radioattività e onde d’urto tipiche di una detonazione nucleare, e Mosca fosse rimasta in silenzio troppo a lungo, il controllo dei missili sarebbe passato a un bunker segreto. Da lì, ufficiali avrebbero avuto il potere di lanciare un contrattacco in grado di incenerire l’altra superpotenza.

A differenza di quanto si potrebbe pensare, Dead Hand non era sempre attivo: veniva acceso solo nei momenti di crisi estrema. In teoria, questo meccanismo doveva anche ridurre il rischio di errori come il celebre falso allarme del 1983, quando l’ufficiale Stanislav Petrov intuì che i “missili americani” sul radar erano in realtà un riflesso del sole.

Dove si trovasse il bunker del sistema resta avvolto nel mistero: le ipotesi parlano degli Urali, tra le montagne Yamantau e Kosvinsky, strutture blindate costruite per resistere a un’apocalisse. Ancora oggi, dopo la fine dell’URSS, nessuno sa con certezza se Dead Hand sia stato smantellato o se dorma sotto terra, pronto a riattivarsi.

E non solo: nel 1962 un orso nero stava per scatenare una guerra mondiale, ecco l’assurda storia.