Il solo annuncio ha già orientato strategie aziendali: AstraZeneca, per esempio, ha annunciato un maxi-investimento da 50 miliardi di dollari negli Stati Uniti entro il 2030, motivandolo anche con l’incertezza sui dazi. Gsk ha fatto lo stesso con un piano da 30 miliardi.

Come osserva un’analisi della Cambridge Economic Policy Associates, le aziende farmaceutiche stanno “ricalibrando” la geografia degli investimenti: riduzione della presenza in mercati percepiti come meno redditizi e rilancio negli Stati Uniti, che restano il principale mercato mondiale per volumi e margini. In altre parole, i dazi Usa sono una leva reale e potente: hanno spinto le multinazionali a ripensare investimenti e localizzazioni e accelerato trend già in atto. Non sono tuttavia l’unica ragione: questioni interne (prezzi, rimborsi, fiscalità, clima politico) hanno fatto il resto.

Rischio contagio in Europa

La domanda è inevitabile: la crisi britannica è un caso isolato o un’anticipazione di ciò che può accadere altrove in Europa?

Le condizioni che hanno portato al congelamento degli investimenti in UK non sono uniche. In molti Paesi europei l’industria denuncia politiche di prezzo rigide, lunghi tempi di approvazione, tassazione elevata. L’Efpia (European federation of pharmaceutical industries and associations) ha più volte sottolineato che l’Europa “sta perdendo attrattività” rispetto a Usa e Asia, e che senza incentivi concreti gli investimenti potrebbero spostarsi altrove. E la vulnerabilità di ciascun paese dipenderà da quanto è attrattivo il mercato domestico (prezzi netti), dagli incentivi locali per R&D/manifattura, dalla presenza di cluster di eccellenza e dalla velocità/efficacia della risposta politica (incentivi, riforme regolatorie). Alcune multinazionali chiedono aumenti del “prezzo” o schemi europei più favorevoli per restare competitivi. Più nel dettaglio, qual è la situazione in Francia, Germania e Italia? Sanofi ha ribadito la volontà di mantenere legami stretti con università e centri di ricerca nazionali, ma parallelamente rafforza gli investimenti negli Stati Uniti. L’Eliseo insiste perché Parigi resti polo europeo, ma il rischio di delocalizzazione esiste. Il potente comparto chimico-farmaceutico tedesco ha lanciato l’allarme sugli effetti dei dazi e sul calo di competitività. Berlino dispone però di un sistema di incentivi fiscali e di cluster di eccellenza che rendono meno probabile un esodo massiccio, almeno nel breve periodo.

L’Italia con forte vocazione manifatturiera (primo esportatore farmaceutico Ue nel 2023), ha più volte avvertito che i dazi Usa sarebbero “devastanti” per l’industria. Roma spinge per una risposta coordinata europea, ma le aziende italiane – spesso terziste o integrate in supply chain globali – sono particolarmente esposte alle delocalizzazioni.