La Commissione nazionale per l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza – Lea e la promozione dell’appropriatezza nel Sistema sanitario nazionale – Ssn del ministero della Salute ieri ha ricevuto in audizione pubblica i rappresentanti della Federazione italiana per i diritti delle persone con disabilità e famiglie – Fish.
I relatori Michele Adamo, consigliere della Fish e segretario nazionale dell’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare – Uildm e Giovanni Merlo, direttore di Fish Lombardia / Lega per i diritti delle persone con disabilità – Ledha, hanno presentato i risultati di un questionario somministrato alla rete associativa della Federazione, evidenziando le criticità nella fornitura di ausili e presidi per le persone con disabilità.
Michele Adamo, segretario nazionale della Uildm
«Ad essere sinceri, siamo andati un po’ oltre i contenuti della convocazione», ammette Adamo. «Avremmo dovuto limitarci alle problematiche legate ai soli ausili elencati nell’allegato 1 bis della legge n. 96/2017. Tuttavia, abbiamo approfittato dell’occasione per andare oltre il tema specifico, molto tecnico, per farci portavoce delle tante difficoltà segnalate dalle persone che richiedono la fornitura degli ausili. Nel nuovo Nomenclatore, infatti, mancano dei codici che prima erano presenti e riguardano la sostituzione di alcune parti dei presìdi medici usurati. Giusto per fare qualche esempio, parliamo di batterie, ruote e cuscinetti delle carrozzine elettriche. Pezzi che sono molto costosi e richiedono una continua manutenzione. Abbiamo ritenuto opportuno, dunque, portare queste difficoltà oggettive sul tavolo della Commissione».

La fornitura di questi strumenti rientra nei Lea, cioè l’insieme di prestazioni e servizi che il Servizio sanitario nazionale ha il dovere di garantire a tutti i cittadini. Ma i dati esposti dalla Fish svelano inefficienze sistemiche e oneri importanti a carico degli utenti.
Secondo l’indagine di “Confindustria Dispositivi medici” di ottobre 2023, infatti, il 50% dei pazienti attende oltre tre mesi per ricevere un ausilio. A questo si aggiunge un’inadeguata valutazione di adattabilità al domicilio, che viene effettuata solo nel 19% dei casi. Le criticità si traducono anche in un impoverimento per le famiglie: il 43,3% delle persone con disabilità, infatti, sostiene spese aggiuntive superiori al 10% del costo del dispositivo, superando talvolta la tariffa ufficiale. L’incidenza della spesa privata raggiunge, dunque, il 74,98% rispetto a quella pubblica, un chiaro indicatore dell’eccessivo carico finanziario sulle persone con disabilità e le loro famiglie.
Durante l’audizione, la Fish ha proposto una serie di soluzioni. «Innanzitutto, è fondamentale estendere gli strumenti di valutazione previsti per i Lea anche al settore degli ausili e aumentare in modo strutturale gli investimenti pubblici», dice la Federazione. «Questo deve essere accompagnato da azioni concrete per migliorare il sistema: armonizzare i tariffari regionali, eliminando le disparità territoriali, e snellire le procedure burocratiche (prescrizione, autorizzazione ed erogazione) per i presidi monouso (come cateteri o ausili per stomia)».

«Come detto, è necessario reintrodurre i codici di standardizzazione dei prodotti (Iso) nel Nomenclatore tariffario, indispensabili per la rapida sostituzione e riparazione dei diversi componenti», sottolinea ancora Adamo. «Alcuni cambiamenti che noi chiediamo sono di tipo strutturale e presuppongono un iter burocratico che prevede tempi non brevissimi, mentre l’aggiunta dei codici mancanti nel nuovo Nomenclatore potrebbe essere fatta in tempi più rapidi: sarebbe una prima, importante risposta ai bisogni di tanti utenti. La Federazione, infine, ha sottolineato la necessità di un supporto e coinvolgimento costante delle famiglie e delle associazioni di rappresentanza nella definizione delle politiche sanitarie, per assicurare che le decisioni rispondano alle reali esigenze delle persone con disabilità».
Adamo poi individua un’altra criticità. «Ogni Regione si muove come gli pare», commenta. «Ma se l’autonomia regionale non è governata da norme chiare, si creano enormi difficoltà perché alcune Regioni le interpretano in maniera differente. E questo crea problemi sia ai cittadini, sia alle Asl che devono gestire le richieste. Occorre maggiore uniformità interpretativa a livello nazionale».
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