C’è una pandemia silenziosa che non compare nei bollettini e non fa rumore, ma che da anni scava in profondità. Non colpisce con febbre o contagi, ma con sintomi invisibili, spesso nascosti dietro sorrisi forzati e giornate di lavoro troppo lunghe. È la crisi della salute mentale e, a pagarne il prezzo più alto sono le donne, soprattutto quelle che lavorano. A confermarlo è un recente studio del Parlamento europeo, dal quale è emerso che, le lavoratrici hanno quasi il 50% in più di probabilità di soffrire di depressione cronica rispetto ai colleghi uomini.
La salute mentale delle donne che il lavoro che non riconosce
Non si tratta di un’eccezione, ma di un trend ormai consolidato: in tutta Europa cresce il consumo di psicofarmaci tra le donne, mentre ansia e burnout diventano condizioni sempre più frequenti, persistenti e difficili da curare. La causa non è solo biologica, né solo sociale. È strutturale. Le donne, come è noto, sono sovrarappresentate nei settori più logoranti, come sanità, istruzione, assistenza, laddove le richieste emotive sono alte, i salari bassi e le opportunità di carriera scarse. In questi ambiti, il carico mentale è costante, ma il riconoscimento è minimo. Al contrario, gli uomini dominano i settori Stem, dove gli stipendi sono più alti e la progressione professionale più rapida. Il risultato, è una segregazione che non solo limita le possibilità economiche delle donne, ma incide direttamente sul loro benessere psichico.
Cura, part-time e interruzioni: il prezzo della doppia giornata
A peggiorare il quadro, c’è il peso della cura. Le donne europee dedicano in media 13 ore in più a settimana rispetto agli uomini a lavori domestici e di assistenza non retribuiti. Chi ha figli piccoli, spesso, è costretta a ridurre l’orario di lavoro o ad accettare contratti precari. Nel 2024, il 28% delle donne ha lavorato part-time, contro l’8% degli uomini. Inoltre, una donna su tre, in media, ha interrotto il lavoro per almeno sei mesi per motivi di cura, contro poco più dell’1% degli uomini. Queste pause rallentano la carriera, riducono i contributi pensionistici e aumentano il rischio di isolamento sociale.
Il Parlamento europeo denuncia l’impatto delle disparità salariali, contrattuali e familiari sulla salute psichica delle donne (Getty)
Molestie sul lavoro: il buco nero italiano
Tra i fattori che aggravano il disagio mentale delle donne, la violenza sul luogo di lavoro continua a rappresentare una criticità sottovalutata. Le molestie sessuali, in particolare, hanno effetti diretti sulla salute psichica, generando ansia, insicurezza, isolamento e perdita di fiducia. Eppure, nel 2021, l’Italia è stato l’unico tra i 27 Paesi dell’Unione europea a non fornire dati ufficiali sul fenomeno, secondo il questionario Eurostat.
Un silenzio istituzionale incomprendsibile
Un’assenza che non è solo statistica, ma politica: senza numeri, non si può misurare, né intervenire. E in un contesto in cui le politiche di prevenzione restano frammentate, prive di coordinamento tra salute, lavoro e parità di genere, il silenzio istituzionale pesa e suona più come una rimozione. Le lavoratrici continuano a subire, spesso senza strumenti di tutela adeguati, mentre il disagio mentale cresce nell’ombra.
Politiche che non bastano
Lo studio del Parlamento europeo lo dice chiaramente: la salute mentale delle donne non è solo una questione sanitaria, ma un indicatore delle disuguaglianze che attraversano il lavoro, la famiglia e la società. Le risposte politiche, finora, sono state parziali. Ed è mancata, soprattutto, una visione che riconosca il benessere psichico come diritto, non come privilegio. La salute mentale delle donne, infatti, non si può proteggere con interventi isolati. Serve un cambiamento profondo: a partire da luoghi di lavoro più sicuri e inclusivi, politiche di cura condivisa, accesso equo ai servizi di supporto e riconoscimento del lavoro non retribuito. Solo così sarà possibile affrontare, con strumenti adeguati, un problema che non riguarda solo le donne, ma la tenuta sociale ed economica dell’intera Europa.