Cos’è la notriphobia?
Della notriphobia – ovvero la “paura di non avere nessun viaggio prenotato” – non ne avevamo ancora sentito parlare. Eppure, più o meno come la celebre “Fomo”, cioè la paura di perdersi gli eventi sociali, è diventata un fenomeno riconosciuto. Quindi ci tocca fare i conti anche con questa “nuova” nostra debolezza collettiva.
Secondo ai dati riportati dai media in questi giorni ne soffrirebbe circa il 40 % della popolazione italiana, con i membri della generazione Z (quelli nati tra il 1997 e il 2012) tra i più colpiti. Tra le ragioni profonde potrebbe esserci la pandemia, ormai passata: l’idea che però prima o poi ci venga impedito di nuovo di viaggiare è rimasta viva. E causando così un ritorno ai comportamenti tipici del “bagaglio sempre pronto”.
Il termine non è riconosciuto formalmente (e quindi seriamente) da psicologi e psichiatri, ma descrive una sensazione di ansia e inquietudine provocata dall’assenza di un viaggio programmato. I sintomi possono comprendere un desiderio compulsivo di prenotare, ripensare continuamente ai piani, e oscillare tra stati di malinconia e irritabilità.
Sui social – soprattutto TikTok e Instagram – i tag #notriphobia raccolgono migliaia di contenuti: contrariamente a quanto avviene nei disturbi d’ansia classici, qui la paura scaturisce da un vuoto positivo – non dal timore di qualcosa, ma dalla mancanza di qualcosa.
KOEN VAN WEEL//Getty Images
Su questi temi i dati sono da prendere con particolare cautela, ma la proporzione di italiani che ammetterebbe di provare fastidio all’idea di non avere delle prossime vacanze già prenotate sarebbe in crescita. Come detto quest’ansia interessa specialmente i giovani tra i 18 e i 30 anni, ma il fenomeno non è però solo generazionale: tra chi viaggia spesso per lavoro la notriphobia inciderebbe in modo significativo sullo stress, influenzando sia la produttività sia il benessere quotidiano. Prima di prenotare ci sarebbe una specie di sensazione di fastidioso irrisolto. Dopo la prenotazione, un piacere psicologico, quello della pianificazione e dell’attesa.
Per capire le radici di questa tendenza bisogna considerare alcuni fattori: la crescente esposizione a immagini idealizzate di destinazioni turistiche, la cultura del “viaggiare per condividere” (sui social, s’intende), e la continua ricerca di esperienze che diano l’idea di un tempo pieno, davvero vissuto e goduto in ogni momento. L’ansia da calendario vuoto sarebbe amplificata in chi usa il viaggio come fonte primaria di gratificazione emotiva, e sostenuta da una narrazione sui social che tende a presentare il tempo libero come un successo da ostentare. Sono temi che conosciamo ormai da anni, solo in un formato diverso. Quello delle vacanze.
Alcuni professionisti del benessere mentale intervistati da New York Times nei mesi scorsi suggeriscono strategie anti-notriphobia: programmare brevi esperienze locali, impiegare hobby e relazioni sociali come fonti di gratificazione, e magari usare l’assenza di viaggi come tempo per decelerare. Il punto non è negare il desiderio di spostarsi, ma imparare ad accettare il tempo “in panchina”.