È allarme rosso per la riforma della sanità territoriale. Manca meno di un anno alla fine del Pnrr, che si concluderà a giugno 2026 e avrebbe dovuto consegnarci una rete di Case della comunità dedicate alla medicina di base. Ma delle 1400 case previste al momento non c’è traccia. Lo certifica l’ultimo rapporto dell’Agenas, l’agenzia nazionale per il servizi sanitari regionali che monitora a ritmo semestrale lo stato di avanzamento del capitolo sanitario del Pnrr.

Ieri l’agenzia ha pubblicato il rapporto aggiornato a giugno 2025 e la cifra più sorprendente è quella delle Case di comunità entrate in funzione e che già rispettano le norme sui servizi erogati: sono appena 46, cioè il 3% di quelle previste. È esattamente la stessa cifra del precedente monitoraggio semestrale risalente alla fine del 2024. In sei mesi, nemmeno una nuova struttura è entrata in funzione rispettando tutti i requisiti, cioè presenza medica 24 ore su 24 domenica inclusa, con infermieri di comunità, diagnostica di base e integrazione con i servizi sociali come prevede il decreto ministeriale n. 77 del 2022 che istituì le Case.

Dovevano rappresentare il rilancio della sanità territoriale dopo il disastro del Covid-19, e dall’Europa erano arrivati due miliardi di euro per realizzarle (ma non per il personale) e il progetto sembra fallito in partenza. Oltre alla lentezza nell’esecuzione delle opere, il governo Meloni paga l’incapacità di riorganizzare medici e infermieri in modo da farle funzionare secondo gli standard previsti dalla riforma. Di fronte alla resistenza delle corporazioni dei medici, è infatti naufragato il progetto di trasformare i medici di base – attualmente liberi professionisti – in dipendenti del Servizio sanitario nazionale.

La mancanza di infermieri era un problema conclamato già prima della pandemia. Così molte Case sono rimaste senza il personale che dovrebbe farle funzionare in permanenza: quelle con tutti i servizi attivati tranne medico di base e infermieri – in sostanza, poliambulatori simili a quelli esistenti nelle attuali Asl – sono passate da 118 a 172, un incremento in ogni caso trascurabile dal 7% al 10% del totale previsto dal Pnrr. Le case di comunità con «almeno un servizio attivo» (dei numerosi previsti dalla legge) sono 660, solo il 38% di quelle pianificate. In Abruzzo, Campania, Basilicata e Alto Adige non è attiva nemmeno una di queste case di comunità «basic».

Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio quelle in cui la realizzazione delle case di comunità procede più speditamente: 38 delle 46 «case» aperte e pienamente funzionanti sono concentrate in queste sole quattro regioni. La riforma è molto indietro anche su altri capitoli. Gli ospedali di comunità, strutture per la degenza di pazienti non gravi che possono essere assistiti fuori dagli ospedali per acuti, dovevano essere 592 e finora ne sono stati attivati 153, un quarto del totale.