Un team di ricercatori francesi e britannici ha individuato un nesso tra long Covid e disturbi del ciclo mestruale, aggiungendo un tassello importante alla comprensione delle conseguenze a lungo termine dell’infezione da Sars-CoV-2. Lo studio, pubblicato il 16 settembre su Nature Communications, evidenzia che le donne con sindrome post-Covid presentano mestruazioni più abbondanti e prolungate, sanguinamenti intermestruali più frequenti e un peggioramento dei sintomi tipici della malattia – come stanchezza, cefalea e dolori muscolari – nelle fasi premestruale e follicolare del ciclo.

I ricercatori delle università di Edimburgo, Oxford e Montpellier parlano di una relazione «bidirezionale» tra le due condizioni. «Sospettiamo che una reazione infiammatoria sia all’origine di questo legame» spiegano gli autori, dopo aver riscontrato «ammassi di cellule immunitarie nell’endometrio» delle pazienti esaminate. Non sono invece emerse alterazioni dei principali ormoni ovarici, un dato che orienta le ipotesi più verso un meccanismo immunologico che endocrino.

L’ipotesi era stata sollevata già nei primi mesi della pandemia, quando molte donne avevano segnalato irregolarità del ciclo dopo l’infezione. Già nel 2021, una coorte internazionale aveva rilevato che il 33,8% delle pazienti con long Covid riferiva disturbi mestruali. Nel 2022 un’indagine spagnola aveva confermato un rischio più elevato di alterazioni del ciclo tra le donne con forme persistenti della malattia rispetto a chi non aveva contratto il virus o aveva avuto solo la fase acuta.

Per consolidare queste osservazioni, lo studio franco-britannico ha adottato tre diverse metodologie: un questionario somministrato a 12.187 donne nel Regno Unito, il monitoraggio clinico di 54 pazienti con long Covid per tre mesi e l’analisi di campioni di sangue e tessuto endometriale. L’insieme dei dati ha confermato l’associazione tra le due condizioni e suggerito che le mestruazioni possano diventare un indicatore clinico utile a identificare precocemente le donne a rischio.

Il long Covid colpisce a livello globale tra il 3 e il 7% delle persone infettate e interessa le donne con una frequenza doppia rispetto agli uomini. Per questo, osservano gli autori, «le alterazioni del ciclo mestruale dovrebbero essere considerate un marcatore biologico aggiuntivo per la diagnosi» e potrebbero aprire la strada a «nuove prospettive terapeutiche». La gestione della sindrome, concludono, richiede comunque un approccio multidisciplinare che integri competenze ginecologiche, immunologiche e infettivologiche.