Negli ultimi giorni ho passato 60 ore su Hollow Knight: Silksong. Mi ha da sempre affascinato l’idea di un altro gioco sviluppato da Team Cherry, e ancora di più l’idea di un seguito di Hollow Knight, e ho seguito con interesse la lunga epopea di sviluppo di Silksong. Da un lato c’era la speranza che il piccolissimo team riuscisse a replicare la qualità di uno dei metroidvania più interessanti di sempre, dall’altro la paura che, tentando di stupire tutto il mondo con un degno seguito, il risultato non si rivelasse altrettanto buono. Dopo due settimane e sessanta ore vi anticipo già da subito la mia opinione: Hollow Knight Silksong è un’ottima opera che pur di essere coerente con se stessa fino in fondo ha compiuto delle scelte estremamente audaci.

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Andiamo con ordine, però. Hollow Knight: Silksong, come anche il suo predecessore, è un metroidvania, cioè uno di quei giochi – di solito in 2D – con un focus principale sull’esplorazione non lineare, limitata dall’ottenimento di abilità e strumenti che consentono al giocatore di raggiungere nuove aree prima inaccessibili oppure nuovi boss e nemici precedentemente non affrontabili. In questo mix di combattimento e platforming, titoli come Hollow Knight (e altri che ne hanno seguito l’esempio, come GRIME, Ender Lilies e Ori and the Will of the Wisps) hanno preso una serie di elementi ludici e narrativi da altri giochi con velleità simili (prevalentemente Zelda-like e souls-like) maturando una serie di influenze che hanno fatto evolvere il genere dei metroidvania negli ultimi 7-8 anni in modo sostanziale. Il level design è diventato più labirintico, complesso e soddisfacente, l’aumento del numero di scontri ha richiesto un perfezionamento delle meccaniche di combattimento e delle possibilità ludiche espresse dalle build, e la narrazione si è fatta sempre più intricata.

A poco a poco sono entrate a far parte del genere alcune dinamiche tipiche dei souls-like: la morte non permanente (che mantiene i progressi del giocatore, al prezzo della moneta di gioco, da recuperare poi sul luogo della precedente caduta), gli scontri più ragionati, atmosfere più decadenti, sistemi di build più vari e un certo feeling di fondo che ha contribuito al successo dei giochi di From Software. La connessione tra questi generi e i loro sistemi ha fatto sì che Hollow Knight venisse definito – non a caso anche da me – il primo “soulsvania”. E in effetti Hollow Knight: Silksong costruisce tutta la sua struttura sulle fondamenta del gioco precedente e, appunto, dei soulsvania. Chi si aspettava semplicemente una lunga e vasta espansione, però, non ha idea di quanto davvero Silksong abbia sviluppato sulla base di quelle fondamenta. Le prime ore di gioco vedono Hornet, la protagonista, iniziare a esplorare il mondo di Lungitela dopo essere in qualche modo riuscita a sfuggire a una serie di aguzzini che l’avevano rapita, rinchiusa e privata di alcune delle sue abilità. E lì, in quell’attacco, troviamo un gioco che ricostruisce palesemente su tutto quello che era Hollow Knight. A poco a poco, però, il ritmo cambia, e con le nuove abilità ottenute, e le nuove aree raggiunte, un mondo gigantesco si apre davanti a noi, insieme a un respiro generale in cui ogni cosa è semplicemente “di più”. Nella qualità, in alcuni casi. Nella quantità, in altri. Nella cattiveria, quasi sempre.

La via della seta

Ho letto varie riflessioni su come il mondo di gioco in Hollow Knight: Silksong sia elegante quanto il movimento di Hornet, soffice come quella seta che guida tutte le sue azioni e che viene raccolta uccidendo i nemici: io credo che il mondo di gioco sia, soprattutto, sporco e ostile alla protagonista, più che elegante come lei. È indubbiamente stato costruito con una maestria rara, cesellando ogni piccola sporgenza, il posizionamento di ogni nemico, ogni singola interconnessione tra le aree di un mosto vastissimo che fa impallidire quello già grande di Hollow Knight. Ma quello che trasmette è soprattutto una desolazione senza fondo che già vedevamo in Dark Souls o in GRIME, raccontando di un’ostilità totale e assoluta nei confronti di Hornet. A dispetto dei tanti dialoghi, di una protagonista che “finalmente” parla e di una buona quantità di quest, è il mondo stesso – come già avveniva in Hollow Knight – a raccontare se stesso e il modo in cui vede Hornet. Tutta l’avventura è una sfida, per il giocatore, ma ancora di più per la protagonista, che passa da un’arena a un boss a una sezione platforming quasi impossibile, a un’ardua scalata, a una fuga al fulmicotone, all’ennesima area segreta scoperta dopo 40 ore, a trappole che danno il sentore di “non sei la benvenuta, qualunque cosa tu faccia”, in una sorta di gigantesco “romanzo di formazione” in cui è la protagonista a ritrovare se stessa (con le sue abilità) lungo i vari atti dell’avventura.


Hornet era già comparsa nel primo Hollow knight.

È questo approccio “evolutivo” che guida anche il più radicale dei cambiamenti introdotto da Hollow Knight: Silksong, e cioè il modo in cui le build vengono costruite. Una premessa è doverosa: io sono uno dei più grandi ammiratori del sistema di Amuleti che era stato introdotto in Hollow Knight, e che poi altri metroidvania successivi hanno copiato per via della enorme versatilità che offre. Il concept era semplice: una serie di slot disponibili per inserire degli amuleti (con effetti attivi e passivi) in grado di cambiare completamente il modo in cui il nostro Cavaliere si approcciava al mondo di gioco, al movimento, alle boss fight. Ogni Amuleto aveva un costo in slot, ed era nostro compito trovare le migliori combinazioni per esplorare, le migliori per combattere, le migliori per affrontare determinati ostacoli unici. La peculiarità fondamentale del sistema stava nel fatto che quelle “combinazioni migliori” non esistevano in senso assoluto: c’erano così tante variabili e combinazioni da permettere molti approcci differenti fin da subito, e potenzialmente ogni ostacolo e nemico possedeva un counter in una delle combinazioni, al punto che diventarono famosi quei video in cui si mostrava che, con le giuste build, i boss potevano essere uccisi senza persino muoversi o attaccare, grazie a una serie di danni passivi.

Silksong cambia approccio, sostituendo gli Amuleti con una combinazione di Emblemi e Strumenti. I primi si ottengono in determinati punti focali dell’avventura e agiscono in modo simile alle abilità equipaggiabili di Ender Lilies: Hornet può modificare Emblema cambiando modo di combattere (sia in agilità che in velocità che in potenza), gestendo diverse “posture” in base alla situazione e ai nemici. A quegli Emblemi è possibile agganciare una serie di Strumenti, in grado di donare effetti attivi o passivi al movimento o al combattimento; il sistema, seppure ricchissimo e vario, non raggiunge mai il livello di profondità di quello di Hollow Knight, ma garantisce un combattimento pulito, più bilanciato e difficile da rompere.


L’emblema di partenza di hornet.

L’avventura stessa si costruisce nel mondo più interconnesso e impressionante che io abbia mai visto in un metroidvania. La maggior parte delle aree è quasi interamente non-lineare o addirittura facoltativa, ed esistono molti modi (in un caso me ne vengono in mente almeno otto) di raggiungere la stessa stanza in base al percorso, alle abilità apprese, all’avanzamento, alle capacità del giocatore. È possibile completare il primo atto dopo 5 ore o dopo 20 ore, senza rendersi conto di aver “perso tempo” soltanto perché si è deciso di intraprendere vie differenti. Sia chiaro, l’avanzamento nel gioco tutto sommato porta i giocatori a visitare tutte le aree principali, per via delle quest e del percorso primario, ma la struttura dell’esplorazione è del tutto non lineare e, anzi, incentiva l’idea di “perdersi e ritrovarsi”; l’idea che se la distanza di una panchina da un boss o da un’area sembra esagerata è probabile che ci sia una strada alternativa – o un’altra panchina – che semplicemente non abbiamo ancora trovato. Il world design di Hollow Knight: Silksong non è soltanto vasto: è interessante, sempre ricco, attentissimo a ogni dettaglio, estremamente punitivo ma anche sempre onesto. Con la giusta attenzione, quasi ogni trappola è visibile, ogni ostacolo è superabile e ogni area permette diversi approcci.

Grandezza e densità a volte vanno a braccetto

Tutto questo è possibile anche – e soprattutto – grazie alla flessibilità e delicatezza dei movimenti di Hornet, che danza perfettamente sul mondo di gioco; è stato fatto un lavoro certosino di test da parte di Team Cherry nell’assicurarsi che ogni dettaglio nelle animazioni della protagonista fosse al posto giusto (sia esteticamente sia funzionalmente), e se all’inizio l’esplorazione sembra lenta, il modo in cui si apre ottenendo i vari poteri riflette quella sensazione di crescita che già avevamo imparato a conoscere in Hollow Knight e, anzi, la rende ancora più efficace: durante le prime 15 ore di Silksong ci sentiamo spesso inadeguati ad affrontare persino l’esplorazione di quel mondo così vasto, ma l’ottenimento di alcune abilità di movimento specifiche (tra cui planata, rampino e Aghironda) cambia tutto e scopriamo quanto sia finalmente semplice e veloce muoversi dentro Lungitela. Alcuni percorsi diventano di fatto accessibili soltanto dopo l’ottenimento di determinate abilità, come accade nella maggior parte dei giochi del genere (basti pensare a quanto GRIME cambi completamente le modalità di movimento dopo l’ottenimento di alcuni poteri), ma il modo in cui Hollow Knight: Silksong rende fluido questo cambio di passo ha dell’incredibile.


L’evoluzione di hornet rappresenta quasi un viaggio di formazione.

Questa gigantesca quantità di contenuto è supportata da fetch quest (non troppo riuscite, devo ammettere) e da un mondo che non smette mai di sorprendere, in cui Team Cherry è palesemente andata all-in presentando situazioni uniche (compresa una certa bellissima sezione in prigione, un boss segreto – e peccatore – che ricorderò a lungo come il migliore scontro di un metroidvania dai tempi di Nightmare Grimm, e un’intera area che potrebbe confondere per un bel po’ tutti i giocatori) che variano il ritmo di gioco e l’esperienza “attesa”. Lo stesso risultato è ottenuto dai contenuti facoltativi, compresa un’intera (e gigantesca) porzione di gioco raggiungibile soltanto completando una serie di passi lungo tutta la partita, e che apre a un cambio radicale dell’esperienza ludica (per fare un confronto concreto, si tratta di una quantità di contenuto paragonabile al contenuto nascosto di Malenia e Mohg in Elden Ring). Una sezione che una buona percentuale di giocatori probabilmente non vedrà mai anche dopo aver completato il gioco, e una delle parti migliori della mia intera esperienza con Hollow Knight: Silksong. L’esistenza di un gioco come questo, con così tanti elementi, venduto tra l’altro a meno di venti euro, è già notevole di per sé (e fa il paio con produzioni molto più di nicchia come Dwarf Fortress o La-Mulana 2), ma l’elemento che davvero rende straordinario il risultato è la qualità costantemente altissima di ogni sezione e di tutta questa mole di contenuti.

Persino l’impianto sonoro di Hollow Knight: Silksong (sempre curato dall’immenso Christopher Larkin) è impressionante. Quando sono entrato per la prima volta alla Cittadella ho avuto la pelle d’oca, e non è da sottovalutare il modo in cui (se giocato in cuffia, cose che consiglio caldamente) ogni singolo elemento sonoro sia al posto giusto. In alcune aree un rintocco lontano di una campana, una voce che intona un canto a noi ormai familiare o persino il suono di una goccia d’acqua riempiono l’azione ludica e soprattutto quella meditativa del giocatore – e, quindi, di Hornet, la quale si ferma a ripensare alla strada fatta, guarda la mappa per pianificare il prossimo step o, semplicemente, si ferma a riposarsi un attimo dopo l’ennesima fatica. È chiaro, però, che c’era un prezzo da pagare per così tanta meraviglia. E quel prezzo, purtroppo, è parte integrante dell’all-in che Team Cherry ha deciso di giocare bilanciando Hollow Knight: Silksong in questo modo.

“Vengono fuori dalle pareti, vengono fuori dalle fottute pareti!”

Hollow Knight: Silksong è punitivo, praticamente quanto lo erano Demon’s Souls e Dark Souls nel dare un adeguato contrappasso a ogni scelta sbagliata del giocatore e a ogni sua distrazione. È però quasi sempre estremamente onesto. Quasi. Il mio problema personale con un gioco indubitabilmente ottimo come Silksong è che proprio quando il livello è così alto, le piccole storture si notano di più e fanno più male. È doveroso fare una piccola premessa a quello che sto per criticare: la progressione in Silksong è estremamente lenta, lasciando il giocatore – volutamente – in una sensazione di costante pericolo; si tratta di uno degli elementi più riusciti del gioco perché quel mondo ostile non viene superato dopo 5 ore diventando una passeggiata, ma lascia costantemente il giocatore con la sensazione di non essere “forte abbastanza” finché non arriva il cambio di passo, molto più avanti. E questo va benissimo, e si collega alla questione dell’onestà di cui sopra.

Nel voler essere così tanto aggressivo, però, il gioco è quasi forzato a calcare la mano sugli scontri e sui danni subiti, soprattutto nella prima metà dell’avventura (che comunque rappresenta una quantità corposa di ore). Gli errori in questo gioco costano cari, e a volte la sensazione è che sia necessario muoversi in modo più “safe”, di fatto remando contro alle possibilità di movimento e di attacco che andiamo ottenendo durante la partita. In alcuni casi e in alcune aree (Acquafiele è, credo, l’esempio più eclatante, ma non l’unico) certi nemici e alcune dinamiche e trappole uniche dello scenario sono al limite dell’esagerazione, e spingono il giocatore a muoversi con una cautela che stona rispetto alle abilità di Hornet. Questa scelta così punitiva non si applica a piccole porzioni di mappa (come era Nidoscuro in Hollow Knight), ma a porzioni gigantesche del gioco, andando secondo me a impattare sul ritmo di gioco, che non riesce ad “alternare” in modo sempre efficace situazioni più semplici ad altre più complesse, lasciando costantemente il giocatore sul filo del rasoio per tante – troppe – ore.


un sano momento di riposo in una delle aree più rilassanti del gioco.

Tanto più che in un mondo così vasto anche le arene e gli incontri con i boss sono aumentati di numero. Le prime, nello specifico, strutturate come una serie di nemici da uccidere prima di lasciare l’area, in alcune zone sono veramente eccessive di numero e non danno niente di interessante all’avventura, limitandosi spesso a risultare un mero ostacolo antipatico da superare. I boss, per contrastare l’elevata capacità di Hornet, hanno moveset interessantissimi, e in generale sono ben fatti e offrono un livello di sfida ben congegnato (alcuni, come Vedova, sono tranquillamente al livello dei migliori di Hollow Knight e regalano al giocatore la giusta ricompensa per l’impegno), ma in molti casi appaiono accompagnati da fin troppi companion che rendono la sfida semplicemente più lunga e non più stimolante. Citavo più sopra il cambio del sistema di Amuleti con uno a Emblemi. La riduzione delle possibilità di gameplay emergente dovuta a questa modifica radicale ha un peso proprio nel modo in cui arene, boss e danni risultano più sfidanti: in Hollow Knight: Silksong siamo noi, i giocatori, a doverci adeguare allo scontro. Perché ci è praticamente proibito trovare quella soluzione in grado di trivializzare la bossfight. Perché il gioco produce una relazione antagonista con il giocatore, e questo va benissimo, fintanto che l’ostacolo si mantiene onesto. Ma senza le soluzioni emergenti offerte dal sistema stesso di Hollow Knight – o almeno, con molte meno di quelle soluzioni a disposizione – le poche parti più frustranti e i danni esagerati vanno a minare almeno in parte l’esperienza ludica.

Questo intacca significativamente la qualità di Hollow Knight: Silksong? Assolutamente no: il gioco è incredibilmente vario, offre un’esperienza di fluidissima sorretta da un livello di interconnessione delle mappe mai visto prima in un titolo del genere, permettendo al giocatore di aprirsi la propria strada senza mai dargli l’impressione di stare “sbagliando”, e costruisce su questa dinamica scontri, sorprese e segreti. Già nella fase di tutorial – subito dopo aver ottenuto le prime mappe – Silksong ci insegna che possiamo “slashare” sui nemici per raggiungere altezze altrimenti ancora inarrivabili, e subito dopo avercelo insegnato ci offre – in silenzio e con calma – dei luoghi in cui gli insetti volanti sono stati posizionati apposta per permettere al giocatore di arrivare anzitempo in una nuova area. Sta proprio qui, però, il motivo per cui tutto sommato rimane un po’ di delusione; questo approccio tanto emergente nell’esplorazione e nell’avanzamento si rivela inferiore, in termini di efficacia, nella gestione degli scontri e degli ostacoli stessi, a causa di un sistema di build meno potente di quello che speravo di trovare.

Il risultato è un gioco più bilanciato, più posato e probabilmente anche più solido. Ma – seppure soltanto per una nota amara – meno emergente e, per me, leggermente meno stimolante. Resta un’opera impressionante, in cui quasi tutto è stato fatto bene, e il solo pensare che un team così piccolo continui a sfornare prodotti di questa qualità mi fa solo sperare che tra altri 7 anni vorranno regalarci un’altra perla. Intanto, però, aspetto eventuali DLC e cercherò di combattere il vuoto che, nel silenzio della seta e nel clangore delle lame, Silksong sta per lasciare nel mio cuore. È uno di quei giochi che vengono pubblicati una volta ogni 10 anni, nel bene e nel male. Con tutti i suoi limiti, le sue meraviglie e le sue contraddizioni. Dategli il tempo di farsi scoprire e di farsi capire, sarà lui a guidarvi per mano; aggressivamente e in modo punitivo, ma lo farà. Probabilmente non è il miglior metroidvania della storia, ma questo mondo sarà un benchmark – come le era già stato Hollow Knight – per chiunque vorrà realizzare un titolo del genere da ora in avanti.

MODUS OPERANDI

Ho giocato a Hollow Knight: Silksong dopo averlo acquistato su GOG in versione DRM-free, completando l’avventura ed esplorando in lungo e in largo il mondo di gioco in circa 64 ore. Ho avuto modo di affrontare la seconda metà del titolo post-patch correttiva, e ho rigiocato la prima dozzina di ore dell’avventura per constatare da me i bilanciati effettuati da Team Cherry. Ho giocato in lingua italiana, notanto che la traduzione è ottima per l’intera avventura, anche se va detto che il gioco non contiene grandissime quantità di testi. Ho comunque molto apprezzato l’attenzione nel mantenere sia i giochi di parole sia i toni fiabeschi legati ai nomi delle aree. Ho giocato con un controller Xbox One Elite su un PC munito di un AMD Ryzen 7 1700 a 3.0 GHz, di 16 GB di RAM, di un SSD SAMSUNG 960 NVMe da 500GB e di una GeForce Gigabyte GTX 1080, sfruttando un monitor Asus ROG SWIFT PG279Q da 27″ alla risoluzione di 2560×1440. Non ho riscontrato incertezze tecniche per tutta la durata dell’avventura, né bug di sorta.

Hollow Knight: Silksong è un seguito audace che non si limita a espandere il suo predecessore: ricostruisce tutto su scala maggiore, intrecciando un world design vastissimo e interconnesso come non mai con il movimento setoso e precisissimo di Hornet, capace di trasformare l’esplorazione in una danza. L’impianto di Emblemi e Strumenti rinuncia a parte dell’emergenza creativa degli Amuleti in favore di un combattimento più pulito e bilanciato: scelta coerente, che però toglie qualche via “laterale” proprio dove arene ripetute e boss spesso affollati di mob noiosi chiedono pazienza e rigore. L’ostilità di Lungitela è punitiva ma quasi sempre onesta, e quando il cambio di passo arriva, il senso di crescita è travolgente; il tutto è sorretto da una direzione artistica e sonora di rara finezza e da contenuti opzionali che sorprendono per ambizione e qualità costante. Qualche fetch quest sottotono e un ritmo che nella prima metà sembra un po’ arrancare non incrinano un’opera che ripaga il giocatore con continui momenti di stupore sia nel level design sia nelle meccaniche. Un nuovo benchmark del genere: coerente, densissimo, ricchissimo, memorabile.