PRESENCE. Nelle sale

L’irrequietezza creativa di Steven Soderbergh appartiene all’emisfero positivo degli ultimi trent’anni di cinema. Caratteristiche: le oscillazioni tra generi e stili diversi, gli esperimenti con tecnologie avanzate, da Unsane girato interamente con l’iPhone al thriller internettistico / pandemico Kimi – Qualcuno in ascolto (2022) con Zoë Kravitz, fino alla coraggiosa ricerca di temi spiazzanti, arrivando senza rimpianti al limite dei B movie. Soderbergh se lo può permettere: amatissimo dalla critica ai tempi di Sesso, bugie e videotape, Palma d’oro a Cannes nel 1989, è stato poi in parte abbandonato in conseguenza di scelte meno centrate. Con Presence, lanciato al Sundance Film Festival 2024, a variare è il punto di vista. Soderbergh si mette – in soggettiva – dalla parte di un poltergeist, un fantasma, una presenza invisibile che vaga in una casa di periferia sul punto di essere assegnata dall’agente immobiliare Cece (Julia Fox) alla famiglia Payne: Rebekah (Lucy Liu), il marito Chris (Chris Sullivan) e i figli, lo scapestrato Tyler (Eddie Maday) e la traumatizzata Chloe (Callina Liang). Rebekah e Chris sono in crisi, ma il mistero che li avvolge cementa la loro relazione. Nel gruppo, a sparigliare le carte, irrompe Ryan (West Mulholland), amico di Tyler e gran spacciatore di droghe che trafuga dalla farmacia di papà. 

La Presenza intanto lancia segnali inquietanti. L’elemento soprannaturale prende il sopravvento: la vischiosa dramedy familiare diventa una tempestosa ghost story con ingresso di una medium e il ricordo straniante di una ragazza, la migliore amica di Chloe, Nadia, deceduta in malo modo. Strada facendo, il poltergeist diventa il controllore morale della disfunzionale famigliola, lo specchio orrifico nel quale vengono riflessi i lati oscuri del gruppo. L’aspetto interessante di Presence – girato nel 2023, ancora sotto l’effetto ipnotico del Covid – è la cinepresa ad altezza di spettro: insinuante, inusuale, catturante. Con gli occhi del fantasma, seguiamo i personaggi, diventando qualcosa di più che semplici testimoni. Cresce l’interazione tra lo spettatore e il regista-factotum, esplicita metafora dell’effetto ipnotico del cinema e di un desiderato / impossibile dialogo con l’Aldilà. La storia è stata scritta da David Koepp, ma Soderbergh fa suo il progetto con la curiosità del cineasta esploratore e antropologo.

Ci fa entrare nella casa vuota, riempita solo dal soffio addolorato della Presenza. Costruisce 85 minuti di piani sequenza e immagini elettriche, o sfocate, o alterate. La soggettiva come collante del racconto è divorante e non inedita, anche se qui viene spinta al massimo. L’elemento positivo è che non toglie tensione alla storia, benché ci rendiamo conto in partenza di quel che potrà accadere. Lucy Liu è la più efficiente del cast: e stavolta non si tratta soltanto di strabuzzare gli occhi di fronte al nemico invisibile. L’elemento negativo, semmai, è lo strabismo narrativo a cui il cambio di prospettiva ci costringe. Soderbergh non è interessato ad essere esplicito, didascalico, puntuale: a lui, come sempre, basta trovare una chiave suggestiva per raccontare la sua storia. 

PRESENCE di Steven Soderbergh 
(Usa, 2024, durata 85’, Lucky Red

con Lucy Liu, Julia Fox, Chris Sullivan, West Mulholland, Callina Liang 
Giudizio: dal 3 al 4 su 5 
Nelle sale