
di
Luca Angelini
Quattro F-16 della US Air Force che si alzano in volo per intercettare aerei russi – due bombardieri strategici Tu-95 e due caccia S-35 – sopra l’Alaska. Due Gripen ungheresi della Nato che in Lituania intercettano un Su-30, un Su-35 e tre MiG-31 di Mosca in prossimità dello spazio aereo lettone. Infine alcuni droni che, tra Danimarca e Svezia, hanno provocato un nuovo stop agli aeroporti danesi. Le tensione nei cieli sopra l’Europa (e non soltanto in quelli) continua a salire. Anche perché, a gettare altra benzina sul fuoco, ci ha pensato l’ambasciatore russo a Parigi, Alexei Meshkov. Negando ogni coinvolgimento di Mosca, in un’intervista a una radio francese ha detto che l’abbattimento di un aereo russo da parte della Nato, pur in caso di violazione dei cieli dell’Alleanza, equivarrebbe a una dichiarazione di guerra. Mentre, dopo la risposta data martedì da Donald Trump, sulla reazione che la Nato dovrebbe avere rispetto ai velivoli russi, ieri il segretario della Nato Mark Rutte si è detto d’accordo sulla necessità di abbattere i jet russi se violano lo spazio aereo dell’Alleanza.
Rutte ha anche aggiunto: «Ho appena parlato con la prima ministra danese Mette Frederiksen sulla situazione dei droni, che prendiamo molto sul serio». In particolare si sono dovuti fermare gli scali di Aalborg e Billund, mentre droni sono stati avvistati a Esbjerg, Sonderborg e Skrydstrup. Episodi preoccupanti perché Aalborg funge anche da base militare e Skrydstrup ospita alcuni F-35 e F-16. Avvistamenti anche sopra il reggimento dei Dragoni dello Jutland a Holstebro. Se le indagini dell’intelligence danese non sono ancora concluse e dunque non è possibile attribuire direttamente a Mosca la responsabilità di questi episodi, Copenaghen pare tentata di evocare altre consultazioni sulla base dell’articolo 4 del Trattato atlantico.
«Ma – scrive da Odessa l’inviata Marta Serafini – non sono solo i cieli a inquietare le cancellerie europee, timorose che siano proprio gli Stati dell’Unione a finire tra incudine e martello. Il cambio di posizione della Casa Bianca sulla possibilità che Kiev possa recuperare i territori oggi occupati viene giudicata molto freddamente. “Dietro questo sorprendente ottimismo si nasconde l’annuncio di un minore coinvolgimento degli Stati Uniti e il trasferimento della responsabilità di porre fine alla guerra all’Europa: meglio la verità che le illusioni”, nota il premier polacco Donald Tusk».
In questa chiave va anche letta, secondo Federico Fubini e Mara Gergolet, la decisione del cancelliere tedesco Friedrich Merz di aprire alla possibilità di usare i fondi russi congelati per finanziare (con un prestito da 140 miliardi di euro) lo sforzo bellico ucraino: «La svolta tedesca è maturata lentamente. Ma dopo il vertice in Alaska, fra Trump e Putin si è fatta largo la consapevolezza che la Casa Bianca non avrebbe fermato il Cremlino, né si sarebbe spesa per l’Ucraina. Nessun leader Ue vuole contrariare pubblicamente Trump, ma nessuno è ingenuo. Berlino e alcuni Paesi nordici hanno già messo in piedi uno schema in cui pagano dai propri bilanci i Patriot americani inviati in Ucraina (e in futuro potrebbero usare il frutto dei beni russi per questo). L’ultima goccia dev’essere stato il discorso del presidente americano all’Onu. Quando ha detto, con l’ennesima giravolta, che “gli ucraini possono vincere e riprendersi tutto il territorio” ma “con l’aiuto dell’Ue”. Come a dire che la Casa Bianca se ne sarebbe lavata le mani».
Ottimista, ma con prudenza, resta invece Volodymyr Zelensky. Dopo aver incassato il pieno sostegno di Trump, il leader ucraino, in un’intervista ad Axios, pur confermando la sua intenzione di non ricandidarsi una volta finita la guerra, annuncia di aver chiesto a Trump «un nuovo sistema d’arma» che costringerebbe il presidente russo Vladimir Putin a sedersi al tavolo dei negoziati e di aver ricevuto il sostegno esplicito della Casa Bianca a colpire le infrastrutture energetiche e l’industria bellica russa. Al Cremlino, ha aggiunto il presidente ucraino, dovrebbero dunque «studiare bene» dove si trovano «i rifugi più vicini».
Commenta Giuseppe Sarcina nel suo editoriale: «Tutto lascia pensare che Vladimir Putin stia commettendo un secondo, clamoroso errore di valutazione sulla tenuta e sulle reazioni dell’Occidente. Il primo risale al 24 febbraio 2022, quando rovesciò oltre 100 mila soldati sul territorio ucraino, con l’idea di conquistare Kiev in pochi giorni, cacciare Volodymyr Zelensky, sostituirlo con un simil Lukashenko e trasformare il Paese occupato in uno Stato vassallo come la Bielorussia. Ora, da qualche settimana a questa parte, Putin sta lanciando una serie di incursioni aeree all’interno della Nato, con l’intenzione di approfondire le divisioni nel blocco europeo, nonché tra questo e gli Stati Uniti. Sempre nascondendo la mano, com’è nello stile della casa. Ma, anche stavolta, gli effetti non sembrano quelli previsti dal Cremlino. Anzi, sta accadendo esattamente il contrario».
(Intanto un report di Morpheus Research, hedge fund americano, accusa la maison umbra Brunello Cucinelli di non aver mai davvero chiuso i suoi negozi in Russia, nonostante le sanzioni europee; «Abbiamo rispettato tutte le normative europee», si difende l’azienda, ma il titolo in Borsa ha perso fino al 17%)
Flotilla, è scontro politico
La Global Sumud Flotilla ha detto no alla mediazione. Il governo italiano aveva provato a convincere le imbarcazioni dirette a Gaza a lasciare a Cipro il loro carico di aiuti umanitari. Da lì poi, per intercessione della Cei, gli aiuti sarebbero stati consegnati a Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, per arrivare alla popolazione della Striscia. Ma l’accordo non c’è stato. La Flotilla vuole creare corridoi umanitari e tirare dritto fino a Gaza.
Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, nelle sue informative a Camera e Senato ieri ha usato toni pacati, apprezzati anche dall’opposizione. Ha mandato la fregata Fasan come sostegno alla Flotilla e ieri ha fatto sapere che presto arriverà, in sostituzione, la Alpino, fregata lanciamissili, precisando: «È una nave per il soccorso dei nostri cittadini. Quindi, non va interpretato come un “atto di guerra” o “provocatorio” nei confronti di Israele». Crosetto non ha comunque nascosto la preoccupazione: «Il problema si porrà quando la Flotilla arriverà nelle acque bloccate dalle forze israeliane. Adesso è ancora a 450 miglia, dal punto pericoloso, ma vogliamo far capire che una volta usciti dalle acque internazionali nessuno sarà in grado di garantire la sicurezza e neanche l’aiuto in caso accadesse qualcosa».
Crosetto a parte, i toni, in Parlamento, sono stati aspri. Alle opposizioni non è andato giù che la premier, Giorgia Meloni, abbia definito “irresponsabili” i membri della Flotilla. Elly Schlein, segretaria del Pd, ha attaccato: «Ieri la premier ha detto: “Mi sembra si stia esagerando”. E pensavo che si riferisse a Netanyahu, e non alla Global Sumud Flotilla, che fa quello che i governi europei dovrebbero fare e non fanno. Le parole durissime di Meloni contro la Flotilla non le abbiamo mai sentite pronunciare per i crimini di Netanyahu». E alla premier che parlava di una volontà di creare problemi al governo italiano, Schlein ha ricordato che a imbarcarsi sono state circa 500 persone di 44 Paesi diversi. Maria Elena Boschi, di Italia viva, ha fatto un appello a Crosetto: «Dica alla premier di abbassare i toni».
Sulla mediazione non accolta, Angelo Bonelli (Avs) accusa Meloni di averne rivelato i contenuti, che avrebbero dovuto restare segreti. Ma il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, intervistato da Paola Di Caro si dice convinto che ci siano ancora spazi per un’intesa con la Flotilla: «Ci auguriamo che ci ripensino e si continui a lavorare. Noi insistiamo: se l’obiettivo è offrire aiuto alla popolazione di Gaza, possiamo trovare modi per portare gli aiuti. È l’unica soluzione possibile per evitare rischi altissimi». (Dei motivi della mediazione respinta si è occupato anche Alessandro Trocino nella nostra Rassegna; qui la risposta di Aldo Cazzullo ai lettori)
Le parole di Meloni all’Onu
Non ha parlato espressamente di «crimini di Netanyahu», come vorrebbe Schlein. Ma quelle usate dalla presidente del Consiglio nel suo intervento all’Assemblea generale dell’Onu sono state, scrive l’inviato Marco Galluzzo, «parole nette, forse quelle più dure pronunciate finora da Giorgia Meloni contro Israele». «La reazione a una aggressione deve sempre rispettare il principio di proporzionalità – ha detto la premier -. Vale per gli individui, e vale a maggior ragione per gli Stati. E Israele ha superato quel limite, con una guerra su larga scala che sta coinvolgendo oltre misura la popolazione civile palestinese. È su questo limite che lo Stato ebraico ha finito per infrangere le norme umanitarie, causando una strage tra i civili». La premier ha anche aggiunto che Israele «non ha il diritto di impedire che domani nasca uno Stato palestinese, né di costruire nuovi insediamenti in Cisgiordania al fine di impedirlo. Per questo abbiamo sottoscritto la Dichiarazione di New York sulla soluzione dei due Stati». (Gianluca Mercuri, nella nostra Rassegna, ha spiegato perché «le parole di Giorgia Meloni non erano da sottovalutare a sinistra né da scavalcare a destra, ma da incoraggiare. Forse non è ancora tardi»)
Nel frattempo, il presidente americano Donald Trump ha ripetuto ieri che non permetterà a Israele di annettere la Cisgiordania («No, non lo consentirò») e ha sottolineato di averne discusso con il premier Benjamin Netanyahu, che farà oggi il suo discorso alle Nazioni Unite e si recherà in visita alla Casa Bianca lunedì. «Ho parlato con Bibi Netanyahu oggi e abbiamo parlato con tutti i leader del Medio Oriente. Siamo vicini ad un accordo su Gaza, forse anche alla pace», ha detto Trump nello Studio Ovale, parlando con i giornalisti mentre firmava alcuni ordini esecutivi. «È abbastanza, è ora di fermarsi».
(Non si fermano, invece, le mobilitazioni pro Palestina in Italia: dopo lo sciopero generale di lunedì scorso, l’Unione sindacale di base con altre sigle legate ai movimenti pro Pal rilancia e annuncia da oggi una mobilitazione permanente in 100 piazze in vista della manifestazione nazionale a Roma il 4 ottobre, organizzata dalle associazioni di palestinesi in Italia. Le tende compariranno davanti alla stazione Termini a Roma, al valico 3 a Genova, a Milano in piazza della Scala e in altre 98 piazze d’Italia. Anche la Cgil starebbe preparando uno sciopero generale)
L’Uefa starebbe valutando la sospensione di Israele da tutte le competizioni calcistiche internazionali. A scriverlo è il quotidiano britannico Times, che parla di una decisione «attesa la prossima settimana, con la maggioranza dei membri favorevole». Al momento, però, dalla Uefa non risultato riunioni in programma dedicate a questo tema.
Trump annuncia altri dazi
In barba alle intese siglate soltanto poche settimane fa, quando in Italia era ormai notte Donald Trump ha annunciato una nuova, pesantissima tornata di dazi. A partire dal 1° ottobre, ha comunicato il presidente Usa sul suo social Truth, «imporremo dazi al 100% su qualsiasi prodotto farmaceutico di marca o brevettato, a meno che un’azienda non stia costruendo il proprio stabilimento di produzione farmaceutica in America». Trump ha precisato che «la costruzione sarà definita come un cantiere in fase di avvio e/o di costruzione. Pertanto, non ci saranno dazi su questi prodotti farmaceutici se la costruzione è iniziata». L’accordo con l’Ue prevedeva, per i farmaci, una tariffa del 15%.
Sempre in data 1° ottobre scatteranno dazi al 50% per i mobili da cucina, da bagno e prodotti correlati. La decisione è stata presa perché gli Stati Uniti, ha scritto Trump su Truth, sono «inondati da questi prodotti che arrivano da altri Paesi. È ingiusto e dobbiamo proteggere, per motivi di sicurezza nazionale, il processo manifatturiero».
Dal 1° di ottobre si pagheranno dazi al 25% anche sulle importazioni di camion pesanti negli Stati Uniti. In questo caso la decisione è dettata dalla necessità di proteggere i «nostri produttori».
I nuovi dazi, se confermati nonostante l’intesa già firmata con l’Ue, creerebbero danni enormi all’economia italiana.
Sarkozy andrà in carcere
Il prossimo lunedì 13 ottobre Nicolas Sarkozy dovrà presentarsi davanti alla Procura finanziaria per conoscere il giorno della sua incarcerazione, che avverrà entro quattro mesi, al più tardi il 13 febbraio. Poi, visto che ha già compiuto 70 anni, chiederà di essere rimesso in libertà, magari con il braccialetto elettronico. «Ma un passaggio in prigione, secondo tutti i giuristi, è inevitabile – scrive il corrispondente da Parigi Stefano Montefiori – ed è questo che rende clamorosa la sentenza di ieri: per la prima volta nella storia della Repubblica francese, un presidente (emerito) andrà in carcere».
L’ex capo di Stato, dal 2007 al 2012, il gollista che conquistò l’Eliseo sconfiggendo la candidata socialista Ségolène Royal e dovette andarsene cinque anni dopo battuto dal socialista François Hollande, è stato condannato ieri a cinque anni per associazione a delinquere nel processo per i presunti finanziamenti ottenuti da Gheddafi nella sua vittoriosa, prima campagna presidenziale. L’ex presidente è stato assolto dall’accusa di corruzione perché i finanziamenti non sono stati provati. Ma secondo il tribunale i suoi fedelissimi Claude Guéant e Brice Hortefeux come minimo hanno provato a ottenerli, viaggiando a Tripoli in Libia e incontrando gli emissari del dittatore. E lui, Sarkozy, non poteva non sapere. Per questo andrà in prigione, forse alla Santé, l’unica rimasta a Parigi città, nel quartiere di Montparnasse.
«Signore e signori, quel che è successo oggi in questa aula di tribunale è di una gravità estrema per lo Stato di diritto e per la fiducia nella giustizia – ha commentato Sarkozy subito dopo la condanna -. Chiedo a tutti i francesi, che abbiano votato per me no, di giudicare loro stessi quel che è appena successo. L’odio non ha alcun limite. Se vogliono assolutamente che io dorma in prigione, dormirò in prigione, ma a testa alta, perché sono innocente, e questa giustizia è uno scandalo. Non mi scuso per cose che non ho fatto. Farò appello, dovrò comparire ammanettato davanti alla corte di appello, e pensano di umiliarmi ma chi hanno umiliato oggi è la Francia, l’immagine della Francia». L’ex presidente ha sempre sostenuto di essere vittima di una vendetta del clan Gheddafi per aver sollecitato l’intervento degli Usa e della Nato che, nel 2011, fece crollare il regime.
Sarkozy si è presentato in tribunale accompagnato dalla moglie, Carla Bruni, che in un gesto di stizza (qui il video) ha strappato la cuffia del microfono di Médiapart, la testata che per prima ha sollevato il caso dei finanziamenti libici (qui l’intervista di Alessandra Coppola al suo co-fondatore, Edwy Plenel).
L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy in tribunale con la moglie Carla Bruni
- L’ex capo dell’Fbi James Comey è stato incriminato dal grand giurì. Comey è da anni un oppositore di Donald Trump e il presidente, abbattendo il muro che dovrebbe separare la Casa Bianca dal Dipartimento di Giustizia, nei giorni scorsi aveva rimproverato alla procuratrice generale Pam Bondi di non perseguire a dovere i suoi nemici, fra i quali Comey. Dichiarazioni false e ostruzione di giustizia sono i due capi di accusa: si riferiscono a una testimonianza resa da Comey nel 2020 davanti alla Commissione Giustizia del Senato, in cui l’ex direttore avrebbe negato di aver autorizzato la divulgazione di informazioni riservate alla stampa in merito all’inchiesta Russiagate, sui presunti legami tra la campagna elettorale di Trump del 2016 e la Russia. È la prima volta che un ex direttore dell’Fbi viene formalmente incriminato. Rischia fino a cinque anni di carcere. «Sono innocente, che si faccia pure il processo – ha detto Comey in un video su Instagram -. La paura è lo strumento dei tiranni, ma io non ho paura, e spero non ne abbiate anche voi. Spero che siate impegnati e votiate». I media americani fanno notare che l’incriminazione è stata firmata solo da Lindsey Hallingan, l’ex avvocatessa di Trump nominata procuratrice per il distretto orientale della Virginia al posto di Erik Siebert, scettico nel procedere contro Comey. Il fatto che ci sia solo la sua firma, osservano i media, appare legato a una forma di protesta da parte del personale del Dipartimento di Giustizia, all’interno del quale molti hanno espresso perplessità sull’incriminazione. «Forse la domanda più grande che aleggia su tutto ciò è se si tratta solo di un evento isolato, una mossa che può placare un presidente chiaramente arrabbiato, o se sia il segnale di ulteriori procedimenti giudiziari a venire», scrive Anthony Zurcher, corrispondente della Bbc dagli Usa.
- Il capo del Pentagono Pete Hegseth riunirà la prossima settimana nella base di Quantico in Virginia oltre 800 generali e ammiragli da tutto il mondo, scrive il Washington Post, per un incontro del quale «neppure i più alti ufficiali e i loro staff conoscono la ragione». La direttiva è arrivata anche ai leader di tutti i comandi Usa — in Europa, Medio Oriente, Asia-Pacifico — sollevando preoccupazioni perché il loro spostamento lascia sguarnite aree di crisi. Le possibilità, dice il Post, sono due: la prima è che ci siano in vista nuovi licenziamenti. A maggio Hegseth ha detto che i vertici militari vanno ridotti «come minimo» del 20%. La seconda possibilità è che Hegseth voglia parlare della nuova strategia del «dipartimento della Guerra»: l’aspettativa è che la «sicurezza interna» (immigrazione, confine con il Messico) sia definita prioritaria per le forze armate, dopo anni in cui la Cina è stata considerata il rischio principale per la sicurezza nazionale. Nel frattempo il New York Times rivela che il dipartimento della Giustizia ha inviato una direttiva agli uffici di almeno sei procuratori federali chiedendo di formulare piani per indagare le Open Society Foundations di George Soros, il finanziatore miliardario del partito democratico e delle cause progressiste (e ossessione delle destre).
- L’economia americana è cresciuta oltre le attese nel secondo trimestre, sorprendendo analisti e mercati. Secondo la terza e definitiva stima diffusa dal Bureau of Economic Analysis, il prodotto interno lordo è salito a un tasso annualizzato del 3,8%, ben oltre il 3,3% indicato in precedenza e in netto recupero rispetto alla contrazione nei primi tre mesi dell’anno, peggiorata a -0,6% dal -0,5% indicato nella stima finale di giugno, dopo che il Bureau of Economic Analysis ha aggiornato i conti nazionali. La revisione dei dati del secondo trimestre, spiegano i dati ufficiali, riflette una diminuzione delle importazioni — dopo il picco legato alla corsa delle imprese ad anticipare i dazi dell’amministrazione Trump — e un aumento della spesa dei consumatori, salita del 2,5% contro l’1,6% stimato in precedenza. L’impulso è arrivato anche dagli investimenti in proprietà intellettuali, in particolare nell’intelligenza artificiale, mentre restano deboli esportazioni e spesa pubblica. La dinamica resta tuttavia irregolare: gli economisti avvertono che le oscillazioni indotte dal commercio estero non fotografano appieno la salute sottostante dell’economia, che dovrebbe rallentare nella seconda metà dell’anno a un ritmo intorno all’1,5%.
- Amazon ha raggiunto un accordo storico da 2,5 miliardi di dollari con la Federal Trade Commission (Ftc), dopo che l’agenzia Usa ha dichiarato che il gigante della vendita online ha ingannato i clienti inducendoli a iscriversi ai suoi abbonamenti Prime e rendendo difficile la loro cancellazione. La società di Seattle pagherà 1 miliardo di dollari in sanzioni civili — la multa più alta nella storia della Ftc — mentre 1,5 miliardi di dollari saranno destinati ai consumatori che sono stati iscritti involontariamente a Prime o scoraggiati dal cancellare i loro abbonamenti, ha riferito la Ftc.
- Apple chiede all’Ue di abrogare il Digital Markets Act (Dma), sostenendo che la norma-tiva rallenta l’innovazione, imponendo costi elevati. Secondo la società, il Dma ha già causato ritardi nel lancio di nuove funzionalità in Europa, tra cui Live Translation sugli AirPods, iPhone Mirroring e aggiornamenti di Apple Maps. Ma la Commissione Ue «non è sorpresa», perché «Apple ha contestato ogni minimo aspetto del Dma sin dalla sua entrata in vigore». E insiste che il Dma non è opzionale: garantisce concorrenza e scelta ai consumatori.
- Donald Trump ha firmato l’ordine esecutivo per l’accordo su TikTok. Xi Jinping «ci ha dato il via libera» sull’app, ha detto il presidente. «Gli investitori americani controlleranno» la piattaforma e Oracle «giocherà un ruolo importante» sul fronte della sicurezza di TikTok, ha spiegato Trump, dicendosi soddisfatto delle misure di sicurezza varate per la piattaforma. La società che controllerà le attività americane di TikTok sarà valutata circa 14 miliardi di dollari, ha detto il vicepresidente JD Vance.
- Stellantis sta sospendendo la produzione in 6 fabbriche europee: in Francia il sito di Poissy rimarrà chiuso per 3 settimane, anche gli impianti di Eisenach in Germania, di Saragozza e Madrid in Spagna e Tychy in Polonia verranno fermati per periodi da 5 a 14 giorni. A Pomigliano l’interruzione sarà dal 29 settembre al 10 ottobre. Il gruppo industriale tedesco Bosch taglierà 13 mila posti di lavoro, principalmente nella sua divisione auto. Gli esuberi, tutti in Germania, rappresentano circa il 10% della forza lavoro totale di Bosch nel Paese e il 3% del personale a livello mondiale.
- Mentre la sfida nelle Marche tra il presidente uscente Francesco Acquaroli (Fdi) e l’ex sindaco di Pesaro, Matteo Ricci (Pd) è ormai alle porte (si vota domenica e lunedì), il sondaggio di Nando Pagnoncelli per il voto in Toscana dà in netto vantaggio l’uscente Eugenio Giani (Pd) sul sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi (Fdi): 54,8% contro 41,3% (3,9% per Antonella Bundu della lista Toscana Rossa). (Qui un estratto della diretta video sulle Regionali con il direttore del Corriere, Luciano Fontana)
- Un party a base di alcol e quasi certamente droga, come scena del delitto. Manca il movente e soltanto l’autopsia e gli esami nei laboratori potranno ricostruire che cosa è realmente accaduto. Cinzia Pinna, probabilmente, ha subìto violenze anche sessuali. Emanuele Ragnedda, l’imprenditore sardo del vino che l’ha uccisa, ha riferito di un diverbio degenerato: «Aveva un oggetto contundente, mi ha aggredito e ho dovuto difendermi». Ma non ha persuaso i magistrati: lui aveva una pistola, Cinzia era disarmata. Potrebbe aver impugnato l’arma (licenza per uso sportivo) per minacciarla e aver poi sparato per un approccio rifiutato o una richiesta respinta di sesso.
- Disagi in vista oggi per chi deve volare. Il sindacato di base CUB Trasporti ha proclamato uno sciopero nazionale di 24 ore di tutte le categorie del comparto aereo, dal personale navigante a quello di terra, ai servizi di pulizia. All’agitazione aderiscono anche Usb Lavoro Privato, FlaI Trasporti, Ugl Trasporto Aereo, Uilt-Uil e altri sindacati di categoria.
La pagina sportiva
Buon rientro in campo per Jannik Sinner, dopo la sconfitta in finale allo Us Open: nel primo turno dell’Atp 500 di Pechino ha battuto 6-2, 6-2 il croato Marin Cilic.
Il primo pensiero, dopo la vittoria mondiale, è stato per Pippo, come ai Giochi di Parigi. C’era Filippo Mondelli nell’equipaggio del quattro con maschile che vinse l’ultimo oro mondiale a Plovdiv 2018, c’era idealmente anche ieri ai Mondiali di canottaggio di Shanghai con Luca Rambaldi, Andrea Panizza, Giacomo Gentili e Luca Chiumento, tutti atleti delle Fiamme Gialle, che hanno fatto il bis a distanza di 7 anni e a 4 dalla scomparsa di Mondelli colpito da un osteosarcoma: a lui hanno dedicato la medaglia d’oro.
In Coppa Italia, il Torino ha battuto il Pisa per 1 a 0 e si è qualificato per gli ottavi, dove troverà la Roma.
Da oggi a domenica torna la Ryder Cup di golf. Il team Europe tenterà di confermare il titolo vinto a Roma due anni fa, ma gli americani faranno di tutto per non deludere il presidente-golfista Donald Trump.
Da leggere
L’intervista di Aldo Cazzullo al regista Luca Guadagnino, che del prossimo film dice «è un duello tra due generazioni di narcisisti, professori e studenti, nei campus americani».
L’intervento di Luciano Violante «I pericoli delle teocrazie politiche».
L’analisi di Massimo Gaggi «Ideologia o scienza: i rischi del dilemma».
Giuseppe Guastella e Lodovica Bulian hanno ricostruito in Il peccato di Eva l’odissea giudiziaria di Eva Kaili, travolta dall’inchiesta Qatargate (Kaili si è sempre detta innocente e, a oggi, non esiste contro di lei un capo d’imputazione). Il libro – presentato oggi alle 18 al Corriere in Sala Buzzati, con gli autori e la stessa Kaili – è, scrive Francesco Battistini, un processo al processo, ma anche al lobbismo e ai servizi d’intelligence belgi.
Nel podcast Giorno per giorno si parla di Merz e asset russi, Sarkozy e Apple contro l’Ue con Mara Gergolet, Stefano Montefiori e Paolo Ottolina.
Il Caffè di Gramellini
Il linguaggio armato
Giorgia Meloni ha accusato i suoi avversari di invitare gli italiani a darle dell’assassina. È convinta che il linguaggio d’odio sia un flusso che scorre a senso unico: da sinistra verso destra. Ma se chiedete a Elly Schlein, vi dirà l’esatto opposto: che il linguaggio d’odio scorre esclusivamente da destra verso sinistra. E come le due leader la pensano un po’ tutti i partecipanti al grande derby del Noi contro Loro. Noi siamo i buoni e le vittime, mentre Loro — dal più violento al più mite, senza distinzioni — sono il male assoluto.
Intendiamoci, prima delle elezioni del 1948 il comunista Togliatti minacciava di prendere il democristiano De Gasperi a pedate nel sedere. Ma tutti, a cominciare da De Gasperi, sapevano riconoscere l’iperbole e il linguaggio figurato. Esisteva ancora l’intermediazione, che è il tratto distintivo di una civiltà. I politici si lasciavano intervistare dai giornalisti e dialogavano con le parti sociali. Quei filtri erano creme protettive che preservavano dalle bruciature. Adesso, dalla premier in giù, si sta tutti sotto il sole dei social a pelle nuda. Prendendo ogni frase alla lettera: quelle che si dicono e quelle che si ascoltano, spesso distrattamente. Un tempo le parole erano palline che mandavamo dall’altra parte del campo aspettando che ci tornassero indietro, perché con l’avversario si giocava. Adesso si gioca da soli e le parole sono come colpi sparati contro un muro che ce le ributta inesorabilmente in faccia. Per questo fanno più male.
Grazie per aver letto Prima Ora e buon venerdì
(Questa newsletter è stata chiusa alle 3.15)