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La spesa annuale per le malattie cardiovascolari nell’Unione europea è di circa 282 miliardi di euro, pari al 2% del Pil, distribuiti tra assistenza sanitaria, sociale e perdita di produttività. In Italia, il costo pro-capite (726 euro) è superiore alla media europea (630 euro) e complessivamente supera i 40 miliardi di euro con circa 220mila decessi ogni anno.
Il ruolo della diagnosi precoce e della prevenzione
Eppure, invertire su questa emergenza sanitaria è possibile: secondo uno studio pubblicato su The Lancet, diagnosi precoce e interventi di prevenzione primaria e secondaria potrebbero portare a ridurre le morti per malattie cardiovascolari nel mondo dell’82% entro il 2050, salvando 8,7 milioni di vite ogni anno. In questa direzione, l’Ue ha assegnato 53 milioni di euro nell’ambito del programma di finanziamento EU4Health, all’interno di Next Generation EU, con l’obiettivo di sviluppare piani nazionali sulle malattie cardiovascolari e il diabete. In questa prospettiva si inserisce il Piano strategico nazionale per la salute del cuore, sviluppato dalle società scientifiche, e l’impegno nella ricerca delle industrie farmaceutiche. “Oggi il nostro impegno si concentra sul controllo del colesterolo LDL, principale fattore di rischio per queste malattie, dove abbiamo aperto a nuove prospettive terapeutiche – spiega Valentino Confalone, amministratore delegato Novartis Italia, commentando i dati in occasione della Giornata mondiale del cuore che si celebra il 29 settembre – . In quest’area stiamo conducendo uno dei programmi clinici più estesi mai condotti, che coinvolge oltre 60mila pazienti in più di 50 Paesi. In Italia vogliamo contribuire a ridurre del 25% le morti per malattie cardiovascolari, con un impatto concreto sulla vita di milioni di persone e delle loro famiglie”.
Nel 2024 condotti in Italia 199 studi clinici
E’ proprio nell’area cardiovascolare peraltro la multinazionale continua a sviluppare il polo di Torre Annunziata che rappresenta un asset strategico. Entro il 2028 Novartis Italia prevede di investire oltre 150 milioni di euro in ricerca e sviluppo. Nel 2024 l’azienda ha e condotto in Italia 199 studi clinici, che hanno interessato tutte le principali aree terapeutiche e che hanno coinvolto complessivamente 2.300 pazienti, in 1.00 centri ospedalieri universitari. “Negli ultimi due anni abbiamo siglato 8 accordi regionali e vari progetti di collaborazione – spiega Confalone – che hanno condotto a primi importanti risultati, come quelli raggiunti in Lazio grazie alla stratificazione per rischio cardiovascolare realizzata su 1,3 milioni di cittadini, nell’ambito del protocollo d’intesa tra l’Asl Roma 2 e Novartis, focalizzato sulle dislipidemie. A partire dai risultati emersi, la Asl Roma 2 ha delineato uno specifico percorso di salute, con l’apertura presso l’Ospedale Sandro Pertini di un ambulatorio dedicato alle dislipidemie. Mi auguro che questo progetto possa rappresentare un esempio virtuoso anche per altre realtà”. Altri progetti sono attivi in Sicilia con il progetto SiCura (Soluzioni Integrate per la Cura delle Dislipidemie), realizzato dall’Azienda sanitaria provinciale (ASP) di Enna per migliorare la gestione delle dislipidemie sul territorio attraverso un nuovo modello di medicina basata sul valore e in Campania dove a gennaio 2025 è stata firmata la lettera d’intenti di collaborazione tra Regione Campania e Novartis Italia per attuare programmi mirati a ridurre gli eventi cardiovascolari per i cittadini più a rischio e i tassi di mortalità regionali: quasi 21mila decessi ogni anno.
Intervenire sul payback per continuare a competere
Ma le attuali tensioni commerciali, con l’introduzione dei dazi, e un complesso contesto geopolitico potrebbero rallentare il lavoro e l’impegno delle aziende farmaceutiche in Italia. “Serve la decisa volontà di invertire la rotta e sostenere l’innovazione, che va riconosciuta per il beneficio clinico, ma anche per il valore economico e sociale che ricopre – spiega Confalone -. Le soluzioni esistono, ma non c’è tempo da perdere”. Dunque, occorre rimuovere il payback farmaceutico “che rappresenta oggi uno dei più urgenti rischi per la capacità dell’Italia di competere e progredire in un contesto internazionale sempre più complesso”. Per alcune aziende il payback pesa fino al 16% del fatturato e secondo le stime nel 2025 supererà i 2 miliardi di euro, con un inevitabile impatto sulla possibilità per le aziende di continuare a investire in Italia, in ricerca e occupazione. “L’Italia – conclude Confalone – non può perdere il suo ruolo di leader in un settore che nel 2024 ha prodotto 56 miliardi, di cui 54 destinati all’export”.