Waterworld usciva in sala su quel finire di luglio del 1995. Doveva essere il kolossal cinematografico definitivo, ma si trasformò invece in un flop che fece epoca. Eppure, a trent’anni di distanza, forse questo scifi su un futuro post-apocalittico acquatico dell’umanità, merita di essere rivalutato, di essere illuminato di una luce maggiormente benevola.

Un film concepito come erede di Mad Max

Waterworld dopo trent’anni è ancora un vero e proprio oggetto misterioso della cinematografia, uno di quei film di cui si è parlato tanto, spesso a sproposito, senza la giusta calibratura. Esce in un momento particolare, a metà esatta di quegli anni ‘90 in cui ormai, si è capito con il caldo torrido dell’estate precedente, il cambiamento climatico è arrivato. Non è una chimera, non è una teoria, il buco dell’ozono, lo scioglimento dei ghiacciai, i cambiamenti violenti e l’innalzamento delle acque in alcuni emisferi, resero il film Kevin Reynolds agli occhi di molti una sorta di profezia cinematografica. Waterworld è stato il tentativo, ambizioso, coerente dalla nascita al suo fallimento, di creare una sorta di spin off della saga di Mad Max sulle acque. A Peter Rader e
David Twohy, i due sceneggiatori, l’idea venne proprio immaginando un universo parallelo dove invece della sabbia fosse il mare ad assediare l’umanità. Ma secondo molti furono anche ispirati da “Freakwave”, un fumetto di metà anni ‘80 creato da Peter Milligan e Brendan McCarthy.

Anche quello doveva molto alla saga che aveva cambiato per sempre il concetto di azione, soprattutto quella sulle quattro ruote. Mel Gibson era diventato una star planetaria nei panni di Max Rockatansky, Kevin Costner però una star lo era già, anzi era la star di quegli anni. Dagli Gli Intoccabili a Fandango, da Bull Durham a JFK, passando per Robin Hood e Balla coi Lupi, Costner era considerato dalla Universal l’unica scelta possibile. Con Kevin Reynolds aveva già collaborato in passato, parevano quindi la perfetta accoppiata, nessuno poteva immaginare che poi non si sarebbero parlati per quasi vent’anni. Waterworld ancora oggi, è il perfetto esempio di cosa non fare quando si vuole creare un blockbuster ambientato sul mare, ma in generale, quanto a volte le star sanno diventare le peggiori nemiche di se stesse sul set. Il tutto per parlarci di un mondo del futuro finito letteralmente sott’acqua e molto meno civile del nostro.

La guerra dei mondiLa guerra dei mondi di Steven Spielberg ha compiuto vent’anni e non ha mai smesso di inquietarci

Il 29 giugno del 2005 usciva in sala il film tratto dal romanzo di H. G. Wells, metafora dell’era post 11 settembre

In quel 2500, la civiltà è andata a rotoli, ormai si è regrediti allo stato tribale, le diverse comunità si fanno la guerra a vicenda per oggetti che, durante il XX secolo, erano considerati mere amenità. Strizzando l’occhio allo Straniero Senza Nome del western, Kevin Costner, vestito di cuoio, sguardo incazzoso e omicida, non dà un nome reale al suo protagonista, che a bordo di uno yacht che verrà creato per lui da Marc Van Peteghem e Vincent Lauriot-Prevost, se ne va in giro sui mari armato di arpione e di una mutazione genetica che lo rende, agli occhi degli altri umani, una minaccia. Dennis Hopper, pelato e fuori di melone, è bravissimo nei panni del villain, il Diacono, una sorta di clone del Toecutter di Mad Max. Egli è un capo bandito, un capo predone, che va alla ricerca col suo esercito di disperati, dell’ultima terra emersa. Ed è qui che entra in gioco naturalmente una bambina (c’è sempre una bambina in questi casi): Elona (Tina Majorino), a cui fa da madre Helen (Jeanne Tripplehorn).

Sulla sua schiena c’è un tatuaggio, la mappa per arrivare a quella terra emersa, e tra battaglie, sparatorie, naufragi, pesci mutanti, si deciderà il destino di molti. Waterworld insomma, è un blockbuster che ha dalla sua, quell’ambientazione, con cui parlarci di un futuro (all’epoca se ne parlava tanto) in cui l’umanità fosse letteralmente sott’acqua a causa del riscaldamento globale. Il set però diventò un vero e proprio inferno, né Kevin Reynolds né Kevin Costner dettero retta a Steven Spielberg, che gli consigliò di fare come avrebbe poi fatto James Cameron per Titanic: girare tutto in bacini artificiali e non in mare aperto. Per lui, durante le riprese de Lo Squalo, significò un bel po’ di problemi. E se i problemi di un film in fin dei conti abbastanza minimal ed essenziale come quello che ne aveva lanciato la carriera nel 1975 erano comunque non da poco, per un set così gigantesco, significò un vero e proprio calvario per la produzione, la troupe, le comparse, il cast.

Un fallimento cinematografico con origini ben precise

Tempeste, caldo, mare mosso, afa, fu un inferno, diversi membri della troupe si licenziarono, Kevin Costner restò persino di rimanere ucciso a causa di un incidente sul set. Le riprese di Waterworld finirono per durare tre mesi più del dovuto ed il budget, stimato in 100 milioni di dollari, arrivò prima a 135, poi a 175, facendone il film più costoso mai realizzato fino ad allora. Waterworld, lo abbiamo detto, è un Mad Max sulle onde, ma gliene manca lo spirito d’avventura, la regia adrenalinica e folle, gli manca un anche un protagonista con cui empatizzare, visto che Kevin Costner se ne va in giro truce e meditabondo. Al pubblico risultò molto difficile provare simpatia per lui e il suo Mariner. Al contrario, bisogna ammettere che Dennis Hopper rende il suo Diacono una simpaticissima e terribile canaglia, omaggio ad un tempo al Marlon Brando di Apocalypse Now, e un po’ persino al Joker di Nicholson.