Il saggio edito da Mondadori, offre una riflessione innovativa dell’opera di San Francesco, nell’ottavo centenario della sua composizione. “Il messaggio al lettore – afferma il presule – è innanzitutto quello prendere sul serio la condizione umana in tutta la sua bellezza e in tutta la sua fragilità, sapendo che dentro la fragilità vibra l’amore di Dio”
Eugenio Bonanata – Città del Vaticano
E chi l’avrebbe mai detto che si sarebbe trovata una nuova chiave di lettura di un testo così antico, amato e conosciuto come il Cantico delle Creature di San Francesco. Nell’ottavo centenario della sua composizione, lo ha fatto monsignor Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e Foligno, che attraverso un libro intitolato ‘Il cuore nascosto del Cantico’ (in libreria in questi giorni per Mondadori) propone una riflessione innovativa a riguardo.
Ascolta l’intervista a monsignor Sorrentino
Una prospettiva originale
L’originalità dell’opera, presentata in questi giorni nella sala della Spogliazione del Palazzo Vescovile di Assisi, sta innanzi tutto nel ribaltamento della prospettiva. Il saggio, infatti, inizia dai versi finali del Cantico, quelli relativi al perdono, alla sofferenza e alla morte. La scelta serve a sottolineare il dato di fondo: San Francesco ha scritto il testo per lodare il Signore in un momento di grande prova fisica e spirituale che ha segnato gli ultimi anni della sua vita trascorsi ad Assisi dopo il rientro dalla Verna dove ricevette le stigmate. “Il libro – precisa monsignor Sorrentino – in qualche maniera rende giustizia al Cantico e lo rende leggibile alla maniera di San Francesco”.
La sofferenza e la luce
Fin dalle prime pagine, il saggio ricorda come il Cantico non sia nato sui prati verdeggianti e multicolori di una romantica scena zeffirelliana. La fatica e il dolore del Poverello erano enormi, soprattutto per via dell’acuirsi della malattia agli occhi. “San Francesco – spiega il presule – chiede al Signore la grazia di essere illuminato perché la sua sofferenza era tale che anche il suo animo restava nell’oscurità. Il Signore gli certifica che la sua vita si concluderà nell’amore e nel regno di Dio e lui esplode nel canto dell’universo”. In altre parole è la luce che arriva a consolare in un momento di oscurità e di tribolazione.
La lettura ‘dal basso’
La lode di San Francesco non si limita agli elementi cosmici, ma abbraccia il dramma dell’esistenza suggerendo un atteggiamento pacato e contemplativo nel nome di una vera conversione e del Vangelo. “Tutto – ribadisce Sorrentino – è avvolto dalla misericordia che successivamente diventa lo sguardo sull’universo che si dipana davanti a noi come un grande dono”.
L’intervento di monsignor Sorrentino
L’umanità al centro
“Il libro – prosegue – evita una frequente tentazione che è quella di fare del Cantico soltanto un inno ecologico che pone l’accento alla bellezza del creato e sulla necessità della sua custodia: è una cosa assolutamente vera, che è dentro il suo messaggio, ma non è esattamente il suo cuore”. Il cuore, appunto, è quello nascosto che si trova nelle righe finali. E questo non stravolge certamente l’approccio ‘tradizionale’ al testo di San Francesco. Anzi lo rafforza e lo circostanzia. “Il messaggio al lettore – afferma Sorrentino – è innanzitutto quello prendere sul serio la condizione umana in tutta la sua bellezza e in tutta la sua fragilità, sapendo che dentro la fragilità vibra l’amore di Dio che riesce persino a donarci gioia quando affrontiamo le difficoltà legate al dolore, al perdono e alla morte”.
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La verità storica
Ma c’è dell’altro. Le strofe conclusive sono state scritte all’interno del Vescovado di Assisi, a differenza delle altre che invece sono state composte a San Damiano. Ed è questa la ‘novità’ storica sostenuta da monsignor Sorrentino nel suo volume che sostanzialmente ridisegna la narrazione francescana. Le Fonti – tradizionalmente alla base della biografia di San Francesco – risultano un po’ confuse sul punto. “Sorvolano”, secondo il saggio. Pur menzionando alcuni passaggi dal vescovado, affermano che il santo abbia trascorso gli ultimi due anni della sua vita a San Damiano e si soffermano su un periodo di oltre 50 giorni in condizioni ambientali difficilissime. Si parla del rigido clima invernale e addirittura dei topi attorno al suo corpo ormai quasi inerme. “Questa narrazione è improponibile”, chiosa Sorrentino. “Sarebbe stato come dire che i frati avessero abbandonato Francesco a un destino di morte sicura nelle condizioni di salute in cui si trovava”. Peraltro, sarebbe in contraddizione con la presenza del ministro generale – riportata dalle stesse Fonti – per assicurarsi che il confratello si sottoponesse a cure mediche adeguate.
Il fattore ‘x’
“Tutto questo si può spiegare soltanto se quello di San Damiano è stato un momento abbastanza breve”, aggiunge monsignor Sorrentino che parla anche del fattore ‘x’ per argomentare la tesi. Si tratta della combinazione di fattori legati al contesto dell’epoca: dal dibattito in seno alla famiglia francescana ai rapporti tra i francescani e i vescovi di Assisi. Due dinamiche che hanno portato a minimizzare e a limitare la presenza dei vescovi del tempo nella narrazione su Francesco. Quest’ultima tendenza, come suggerisce il saggio, è stata alimentata dalla decisione di Papa Gregorio IX che fin da subito, nel 1223, sottrasse al vescovo di Assisi la giurisdizione sulla Basilica appena costruita – e dunque sul corpo del Santo, che vi era stato traslato – affidandola alla Santa Sede. Solo nel 2005 Benedetto XVI ribaltò la situazione, restituendo al vescovo la guida la giurisdizione sull’attività pastorale della basilica papale di San Francesco e di quella altrettanto papale di Santa Maria degli Angeli.
Un’immagine della presentazione