“Entrano di notte, arrivano con i blindati”, racconta al Fatto Quotidiano il palestinese Ali, 36 anni e padre di tre figli. Abita nel campo di Aida a Betlemme, in Cisgiordania. La notte di mercoledì scorso Ali e la sua famiglia sono stati svegliati da diversi soldati che hanno sfondato la porta e sono entrati in casa. “Ci hanno messo seduti e hanno picchiato mio figlio maggiore, di 14 anni, di fronte a me e sua madre e ci dicevano o ve ne andate o morite”, racconta Ali. Dopo qualche ora di terrore i militari sono andati via lasciandosi dietro la distruzione totale: buchi nei muri, condizionatori divelti e tutta la casa a soqquadro. “Alla fine hanno arrestato qualche ragazzo che conosco e se ne sono andati”, ricorda Ali.
Succede così, una violenza pervasiva e imprevedibile che dal 7 ottobre 2023 – il giorno dell’eccidio di Hamas in Israele – ha portato all’uccisione di più 1.000 cittadini palestinesi e al ferimento di altri 700, secondo il ministero della Salute palestinese in Cisgiordania. Solo la scorsa settimana in diversi raid sono state arrestate più di 120 persone, uomini, donne e minori, mentre la settimana prima in 24 ore di assedio nel campo di Tulkarem l’esercito israeliano ha arrestato più di 1.000 persone, stando all’Ufficio di Coordinamento degli Affari umanitari dell’Onu (Ocha). Così il totale degli arresti dal 7 ottobre in Cisgiordania arriva quasi 19.000 persone.
Ma la conquista definitiva dei Territori occupati passa anche tramite la violenza dei coloni che attaccano le comunità palestinesi uccidendo il bestiame, sradicando gli alberi, dando fuoco alle macchine e alle case. Nella zona di Masafer Yatta, nel sud della Cisgiordania, “gli attacchi sono giornalieri” racconta Khalil, abitante del villaggio di Umm al-Kheir. La scorsa settimana i coloni sono arrivati con gli escavatori per portare avanti l’installazione di un nuovo outpost, che conclude l’accerchiamento del villaggio, chiuso tra la colonia di Carmel e il nuovo avamposto. Durante i lavori, di proposito, sono stati tagliati i tubi idrici e quelli dell’elettricità lasciando 300 persone – la maggior parte minori – senza né luce, né acqua. “Per giorni non abbiamo avuto energia e i frigoriferi per il cibo e le medicine non funzionavano”, aggiunge Khalil. Attacchi che avvengono in tutti i territori occupati, sempre di più e più violenti. A quanto riporta l’Ocha solo la scorsa settimana sono stati registrati 25 attacchi di coloni contro cittadini e proprietà palestinesi che hanno portato al ferimento di almeno 13 persone e allo sfollamento di altre 33. Atti che i tribunali israeliani non puniscono, come è successo per il colono Yinon Levi che a fine luglio ha freddato con un colpo di pistola Awdah Hathleen, fratello di Kahlil e attivista non violento, e per questo ha dovuto scontare solo 3 giorni di arresti domiciliari.
Le violenze fisiche inflitte alla popolazione palestinese sono parte di un piano politico e istituzionale. I check-point si moltiplicano, a gennaio del 2025 l’Onu ne ha contati 849 in Cisgiordania, una situazione che rende la libertà di movimento un sogno per i palestinesi, già esclusi dall’uso di molte infrastrutture sul territorio, appannaggio dei cittadini israeliani. Come se non bastasse l’amministrazione israeliana tramite ordini di demolizioni da inizio 2025 ha distrutto 1.334 strutture lasciando senza casa più di 1.600 persone.
Intanto, a Gaza prosegue la violenza e la distruzione totale delle infrastrutture da parte Israele. In ritardo perlomeno di 32 anni, se non di più, alcuni governi danno segni di vita riconoscendo lo Stato di Palestina. È accaduto il 21 settembre, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con Regno Unito, Canada e Australia. La responsabile della risposta alle crisi di Amnesty International, Kristyan Benedict, ha commentato la decisione del premier britannico Keir Starmer definendola “un gesto vuoto, se il Regno Unito non cercherà anche di porre fine al genocidio, all’occupazione illegale e al sistema di apartheid di Israele contro il popolo palestinese”.
La Cisgiordania, spina dorsale di quello che doveva essere lo Stato palestinese, è sempre più stretta dall’occupazione e dal regime di apartheid. Un territorio di 5.860 km quadrati dove vivono 3.5 milioni di palestinesi e quasi 800mila israeliani in più di 160 colonie, considerate illegali dal diritto internazionale. A luglio, subito dopo l’annuncio da parte di Francia e Regno Unito di voler riconoscere lo Stato di Palestina, tramite le parole e i piani del ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich, il governo di Tel Aviv ha dichiarato di voler annettere l’82 % del territorio della Cisgiordania, “seppellendo” così la possibile nascita di uno Stato palestinese. Un’annessione che corre veloce e violenta con giornalieri attacchi da parte dei coloni contro le comunità palestinesi e continui raid dell’esercito contro i campi profughi di Tulkarem, Nablus, Jenin, Ramallah e Betlemme.