L’ex fantasista oggi allena le giovanili del Melbourne: “Non ho mai inseguito i soldi, ho giocato per la gente. Baggio il mio idolo: lo imitavo in tutto, anche nelle scarpe”

Lorenzo Cascini e Francesco Pietrella

28 settembre 2025 (modifica alle 11:10) – MILANO

Alino Diamanti lo riconosci anche se ti dà le spalle. Soprattutto d’estate. Sul polpaccio sinistro c’è uno “smile” grosso così. Un volto sorridente tatuato ai tempi del Brescia e lasciato in bella vista per tutta la carriera. Un simbolo, una bandiera: “Era un momento felice della mia vita, entrai dal tatuatore e gli chiesi ‘Oh, mi disegni uno smile?’. E lui eseguì”. Alino si racconta con lo stesso sorriso. Vive in Australia con la famiglia, allena le giovanili del Melbourne City e infila all’incrocio “bad vibes” e malelingue: “L’amore della gente vale più di cento trofei”.

In carriera le è mancata una big. Pensa mai a “come sarebbe andata se…”?

“Mai. Magari è stato a causa del mio carattere: non ho mai abbassato la testa”.

“Non me n’è mai importato”.

MILAN, ITALY - MARCH 10:  Massimo Moratti speaks during the presentation of the book celebrating FC Internazionale's 110th anniversary 'INTER 110' on March 10, 2018 in Milan, Italy.  (Photo by Claudio Villa - Inter/Inter via Getty Images)

Nel 2009 è stato vicino all’Inter.

“Moratti mi voleva lì. Quando mi chiamò pensai fosse uno scherzo: ‘Sei il nuovo Recoba, devi giocare per noi’. Poi arrivò Mourinho, gli dissero che volevano prendere Diamanti e lui rispose ‘Diamanti chi?’. Voleva un nome diverso”.

C’erano anche Juve e Napoli.

“Il Napoli sia nell’estate dell’Inter sia qualche anno dopo. La Juve, invece, più avanti. Avevo il gruppo dei compagni di nazionale che spingeva per il mio trasferimento. Poi, però, Conte disse delle cose che non mi piacquero e rifiutai. E la notte dormii lo stesso, sia chiaro. Ero impulsivo, forse troppo, ma è andata bene così”.

Aldo Spinelli, 80 anni. (lapresse)

Alla fine, andò al West Ham.

“Un cinema. Ero del Livorno, il presidente Spinelli non voleva mandarmi via. Arriviamo all’ultimo giorno di mercato: ci convoca nel suo ufficio a Genova e inizia a contrattare. Ogni mezz’ora cambiava idea. ‘Non posso, mio figlio ci rimane male’. Poi dopo un po’ cedeva. ‘Ok ti vendo, ma di quanti soldi stavamo parlando?’. Penso di aver firmato a mezzanotte. Il presidente era unico”.

“Lasciare la Premier fu un errore”, disse.

“Ma anche qui nessun rimpianto: una scelta sbagliata. Stavo bene, ma lo feci per la nazionale. Lippi disse che per avere chance avrei dovuto giocare in Italia, così andai a Brescia”.

La Nazionale, poi, se l’è presa col tempo.

“Ci sarei arrivato comunque, senza fretta. Eravamo un gruppo fantastico, arrivato fino alla finale dell’Europeo del 2012. A Prandelli devo molto, ho realizzato il mio sogno”.

Anche se poi non l’ha portata al Mondiale?

“In tanti mi dissero che avrei dovuto avercela con lui. Io, invece, gli dico solo grazie. Non ho mai seguito la massa, è da codardi. Ho sempre seguito solo il mio credo”.

Sarà così anche da allenatore?

“Assolutamente sì. Mi concentrerò sulla tecnica e sulla gestione della persona. Io da giocatore sono stato un rompiscatole vero. Non ho mai accettato chi si allenava senza passione. Se uno crede in sé stesso può arrivare ovunque. I giocatori devono essere liberi di esprimersi”.

Guangzhou Evergrande's Alessandro Diamanti of Italy, top, is challaged by Yokohama F Marinos'  Kosuke Nakamachi during their group stage soccer match of the AFC Champions League in Yokohama,  near Tokyo, Tuesday, March 12, 2014. The match ended in 1-1 draw. (AP Photo/Shuji Kajiyama)

Chi l’ha capita di più?

“Bisoli e Pioli. Bisoli mi disse: ‘Se non arrivi in Serie A, vuol dire che ho sbagliato io. Sei troppo forte’. È stato il primo a crederci sul serio. Con lui in C prendevo tante di quelle botte che non ha idea. Non c’erano né telecamere né tutele. Pesavo 60 chili, andavo a contrasto con chi ne aveva 90 senza paura. Un altro con cui mi sono divertito è stato Pioli, a Bologna. Davanti eravamo io e Gila. Il mister mi chiedeva di fare la fase difensiva ma poi mi lasciava libero di giocare come sapevo. Penso di avergli dato tanto”.

Capitolo compagni. Il più forte?

“Pirlo, un genio. Gli potevi dare il pallone in qualsiasi modo, lui lo puliva e te lo ridava perfetto. Abbiamo fatto 50 partite insieme, lui in 48 sarà stato il migliore in campo”.

Sulle punizioni ve la giocavate?

“Impossibile, era troppo forte. Cambiava modo di calciare a seconda della posizione e segnava comunque. Poi non te ne lasciava una. Una volta, a Londra contro la Nigeria, presi l’incrocio dei pali. ‘Te l’avevo detto che non avresti segnato…’, mi disse. La buttava sempre dentro. Uno che mi metteva in difficoltà era Zola, al West Ham. A quasi 50 anni calciava ancora a foglia morta”.

Italian forward Mario Balotelli celebrates after scoring the second goal during the Euro 2012 football championships semi-final match Germany vs Italy on June 28, 2012 at the National Stadium in Warsaw.   AFP PHOTO / GABRIEL BOUYS (Photo by GABRIEL BOUYS / AFP)

“Nel 2012 era tra i centravanti più forti al mondo. Aveva un tiro devastante. I portieri, a fine allenamento, non paravano… si riparavano””.

Lei ha avuto un solo idolo d’infanzia, Roberto Baggio. Ricordi del primo incontro?

“Roby per me è il calcio. Cercavo di imitarlo in tutto e per tutto: lui cambiava scarpe? Lo facevo anche io. Giocavo pure con la fascia colorata al braccio come lui. L’ho incontrato a Bologna, per caso, e l’ho abbracciato per due minuti. Prima di tornare in Australia andrò a salutarlo”.

Prima di Melbourne, la Cina: qualche cartolina?

“L’Asia è intensa, particolare. Devi viverla per capirla. Ho giocato a Guangzhou nel 2014. Andammo a visitare lo zoo dei coccodrilli. Una volta usciti da lì, c’erano negozi che vendevano carne di coccodrillo, cappotti di coccodrillo, borse di coccodrillo. Assurdo”.

Come mai l’Australia l’ha conquistata?

“Rispecchia la mia personalità”.

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“Libera, passionale. E con un’energia particolare. Non ho mai inseguito i soldi. Ho giocato per la gente”.