Milano – Dalle candid camera ai programmi enogastronomici, compagno di risate e ambasciatore dell’enogastronomia italiana, è entrato nelle nostre case con la stessa simpatia con la quale si è raccontato, accanto alla moglie Cini Liguori, in occasione del 45esimo anniversario dell’officina di viale Papiniano, Tony Gomme: il “gommista delle star”.
Famoso dalla fine degli anni Ottanta come conduttore televisivo di format di successo. Ma chi è davvero Davide Mengacci?
“Esattamente quello che si vede in televisione. Non ho mai interpretato un personaggio, ho sempre cercato di essere me stesso, col rischio di piacere a qualcuno e non piacere a molti magari… Ma mi sono comportato così e mi sono trovato bene per quarant’anni di carriera in Mediaset”.
Un approccio che ha premiato.
“Era anche l’unico che conoscevo”.
Cresciuto nell’ambiente del Piccolo Teatro dove lavoravano i suoi genitori, una costumista e un direttore di scena.
“Mio padre iniziò a lavorare all’ufficio “propaganda” del Piccolo, allora si chiamava così, che era di fatto l’ufficio pubblicità. Poi fui avviato io alla carriera di pubblicitario, dopo gli studi a Losanna, nell’agenzia pubblicitaria di famiglia”.
È stato anche fotografo di cronaca locale.
“Vero. Ma sono sempre stato un fotografo. Da ragazzo era il mestiere dei miei sogni, invece la vita mi ha portato davanti all’obiettivo anziché dietro. Però non ho mai smesso di fotografare, nemmeno adesso”.
La sua professione da pubblicitario dopo 13 anni si interrompe.
“Il teatro e, quindi, lo spettacolo, era l’ambiente nel quale ero nato, dove avevo vissuto fino ai sette anni circa, evidentemente mi era rimasto dentro. Alla prima occasione è riemerso”.
La svolta in tv?
“Nel 1986, in crisi esistenziale perché stanco del mio lavoro di pubblicitario e appena separato da mia moglie con un bimbo piccolo. Tutto questo mi creava una sofferenza importante. Così un amico, Beppe Macali, giornalista e autore televisivo, mi propose di fare le candid camera giornalistiche per un programma che stava preparando in seconda serata su Canale 5. Fu il mio primo programma, basato su una ricerca di mercato del sociologo Gianpaolo Fabris. Io interpretavo, di volta in volta, dei personaggi che lui aveva identificato come i nuovi italiani e facevo chiacchierare, con la telecamera nascosta, le persone che appartenevano a queste categorie sociali. Poi “Candid Camera Show” con Gerry Scotti, ma ero diventato così riconoscibile, soprattutto la voce, che non potevo più dedicarmi alle candid camera. Mike Bongiorno vedendomi lavorare mi volle con lui a Pentatlon e da lì cominciò una carriera che non si è più fermata per 40 anni”.
Giorgio Gori le propose di lavorare al numero zero “Scene da un matrimonio” scritto da Gianni Ippoliti.
“E lo vide Berlusconi. Vedeva tutti i numeri zero, non si è mai saputo come facesse…Mi chiamò: “Mengacci, vede, in Italia il matrimonio è una cosa sacra. Lei non lo può prendere in giro. Grazie e arrivederci”. Pensai che la mia carriera fosse finita. In realtà, mi spiegò Gori, voleva dire che io non avrei dovuto condurre quel programma come l’avrebbe fatto Ippoliti, in modo dissacrante, da presa in giro degli sposi e degli invitati, ma dovevo diventare nazional popolare. Capii al volo l’aria che tirava e cominciai ad essere un conduttore nazional popolare”.
Il suo volto è rimasto associato a una serie di trasmissioni dedicate alla cucina e alle tradizioni popolari italiane.
“Nel settembre 1996 cominciai a condurre, insieme a Rosita Celentano, “La Domenica del Villaggio”. L’intento era far conoscere al pubblico anche gli aspetti gastronomici di luoghi sconosciuti, con l’idea di far cucinare in diretta il piatto tipico aduna massaia del luogo. La cosa naufragò perché durante le prove ci rendemmo conto che la massaia non era in grado di reggere i tempi della diretta, però noi dovevamo andare in onda il giorno dopo, e il programma durava tre ore…Che fare? Dissi: “Va bene, lo faccio io!”. Non ho mai saputo cucinare, non sono capace nemmeno adesso, ma osservai i cuochi e copiai, improvvisando. Da lì iniziò un successo straordinario!”
Un talento che non sapeva di avere.
“Alla fine sì. Però probabilmente è venuto fuori anche l’attore che era in me, avviando una carriera sui programmi di cucina che all’epoca erano agli inizi”.
Qual è il suo piatto preferito?
“Il risotto alla monzese con la luganega, perché è il primo piatto e anche l’unico che mi insegnò a cucinare mia madre che, lavorando, era a casa pochissimo. Io e mio fratello minore dovevamo cavarcela da soli. Così ci insegnò a cucinare il risotto della sua città di origine, Monza”.
Un aneddoto simpatico?
“Quando conducevo “Il pranzo è servito”, dove Corrado da ex-conduttore era rimasto come autore a Cinecittà, registravo 4 puntate al giorno, al termine delle quali ero completamente sfinito. Ma l’ultima doveva essere brillante come la prima. Chiesi a Corrado: “Ma tu come facevi?” Lui, sornione, sorrise, aprì il cassettino della scrivania e tirò fuori un flaconcino, mise due pillole gialle sulla mano: “Prendi queste!”. Terrorizzato le misi in tasca, ringraziai e dissi: “Non sono mica matto!”. Una settimana dopo, alla quarta puntata, cotto, trovai in tasca le famose pillole e mi dissi: “Che sarà mai, ne prendo una…”. Girai la puntata più brillante che mai, senza un dolore, senza la voce incrinata. Il giorno dopo uguale. Fra me e me dissi: “Mi sono rovinato, sono entrato nel tunnel della dipendenza”. Andai da Corrado e chiesi: “Non è che avresti ancora una di quelle pillolette?”. Lui mi guardò, fece una gran risata, tirò fuori il flaconcino, lo girò: “Ibuprofene”…”.
A chi deve la sua carriera, oltre che a se stesso?
“A Mike Bongiorno. Dopo le riunioni di Pentatlon mi sedevo nel suo studio e stavo a vedere come lavorava. Lui mi guardava con curiosità, ma non mi cacciava mai via. Da lì sicuramente ho preso tutta la tecnica che mi è servita”.
Che progetti ha adesso?
“Il mio progetto adesso è fare niente!”