Quadri del protagonista dell’arte povera Michelangelo Pistoletto. Sculture di Claudio Costa, l’artista noto per le sue opere d’arte create dal recupero del ferro e dalla manipolazione della materia, che spesso chiama ruggine. Tempere di Tancredi Parmeggiani, firmatario del manifesto dello Spazialismo del 1952. E ancora, le celebri palme di Mario Schifano, considerato uno dei maggiori esponenti della Pop art italiana e internazionale.
Si tratterebbe, se fosse vero, di un patrimonio milionario. Ma per gli inquirenti della procura di Torino, il gruppo di quadri e installazioni scultoree conservati o venduti da un gallerista torinese come opere originali di artisti contemporanei di fama mondiale sarebbe al centro di un grande equivoco. Si tratterebbe di falsi.
Accusa di ricettazione, ma inconsapevole
Per questo motivo, il titolare della galleria, un uomo di origine cuneese che espone anche nel centro di Torino, è finito indagato. Il pm Giovanni Caspani lo ha scritto anche nel capo di imputazione. Il gallerista non sapeva che i quadri fossero falsi. Li ha esibiti e venduti non sospettando che si trattasse di oggetti ricettati. Ma, secondo la normativa italiana, l’uomo – difeso dagli avvocati Fulvio Gianaria e Marcello Ronfani – va comunque indagato per ricettazione in concorso con ignoti e per il reato di avere messo in vendita opere falsificate pur senza sapere che lo fossero.
Era il dicembre del 2016 quando il gallerista, a sorpresa, ricevette la visita dei carabinieri del comando per la tutela del patrimonio culturale. «Sono opere autentiche, altro che falsi. Sono tutte vere» aveva sostenuto da subito il titolare della galleria, che per ben nove anni ha continuato a ribadire il diritto che le opere gli vengano restituite. L’ultima volta lo ha fatto, attraverso i suoi legali, venerdì scorso, all’incidente d’esecuzione con udienza a porte chiuse al Palagiustizia.
Inchiesta archiviata per prescrizione
Dopo quasi dieci anni dall’inizio del procedimento, il caso sembrava chiuso. Il gip, su richiesta del pm, ha infatti archiviato da alcuni mesi l’inchiesta. Il gallerista non è più indagato, quindi, da tempo. Il motivo della richiesta di archiviazione della procura era la prossimità alla prescrizione. Non ha senso, per un pubblico ministero, chiedere il processo per un indagato se i reati sono già quasi prescritti.
Le opere restano sotto sequestro
Ma, nonostante il caso fosse stato chiuso, le opere sequestrate al gallerista non gli sono mai state restituite. Tra queste, nella relazione stilata dai carabinieri che avevano svolto gli accertamenti sostenendo che fossero dei falsi, figurano una “Porta ruggine” di Claudio Costa, una “Palma” di Mario Schifano, il celebre “Uomo sul sofà” di Michelangelo Pistoletto. E ancora, opere di Pippo Oriani, Tancredi Parmeggiani, Alighiero Boetti.
L’accusa non ha dubbi: «Le opere sono risultate oggetto di falsificazione di opera d’arte come accertato da esperti». Per questo motivo non vanno restituite al proprietario, secondo gli inquirenti. Ma sono destinate al macero. Il gallerista continua a opporsi: «Restituitemi i miei quadri, sono veri e preziosi».
Un enigma mai risolto
Sul caso deciderà il gip, probabilmente il prossimo autunno. Il caso, quindi, resta aperto. Come rimane irrisolto, dopo quasi un decennio, l’enigma sull’autenticità delle opere. Una perizia non è mai stata ordinata. La procura non lo ha fatto perché non ha senso giuridico, ed è anche antieconomico, fare pagare allo Stato una consulenza tecnica quando un caso va verso la chiusura per intervenuta prescrizione. Inoltre, secondo gli investigatori, la presunta falsità delle opere era già stata accertata nel 2016.
La battaglia del collezionista continua
Ma il collezionista d’arte non ha intenzione di interrompere adesso la sua battaglia. Anche all’ultima udienza, l’esperto d’arte ha ribadito la sua tesi. Quelle opere d’arte vanno assolutamente recuperate, dal suo punto di vista. Perché, comunque vada a finire la battaglia in tribunale, distruggerle sarebbe, per lui, «uno scempio».