Piersergio Serventi è arrivato nella nostra città da Langhirano nel 1994 nominato dalla Regione come primo direttore generale dell’allora neo costituita “Azienda” Usl piacentina che riuniva in un’unica realtà organizzativo-gestionale le precedenti autonome Usl di Piacenza, di Fiorenzuola e di Castelsangiovanni. Possiamo definirlo “padre” dell’attuale Polichirurgico o ancora più precisamente l’amministratore pubblico che è riuscito a concludere la realizzazione dell’opera e a inaugurarla governando poi la sanità pubblica piacentina fino al 2000.

Giovedì 2 ottobre si ripropone con un ritorno nella nostra città per la presentazione del suo ultimo libro, dedicato all’esame dei problemi di un sistema, quello sanitario pubblico, a un passo dal collasso che come già definito dalla Corte dei Conti non garantisce più alla popolazione un’effettiva equità di accesso alle prestazioni sanitarie.

Un giudizio, come scrive Serventi, condiviso da decine di allarmi e dichiarazioni di addetti ai lavori ma, quel che più preoccupa, condiviso da milioni di italiani, soprattutto dagli anziani con redditi di sopravvivenza, stretti fra liste di attesa e necessità di pagare per curarsi.

«Possiamo dunque affermare – si legge nel comunicato – che l’Italia non è tutta uguale e anche la Sanità non è tutta omogenea. Se l’assistenza territoriale, la specialistica e la diagnostica ambulatoriale soffrono insieme ad altri settori meno visibili, l’assistenza ospedaliera pubblica e accreditata per acuti, ancora garantisce prestazioni universali, di qualità e talvolta di eccellenza. Insomma a fronte di ospedali che funzionano e sono in grado di curare la malattia insorta, sono spesso deficitarie le strutture della medicina del territorio (si pensi alle carenze dell’assistenza domiciliare, fondamentale per una società che sempre più invecchia) che avrebbero il compito di intervenire per evitare l’insorgere della malattia e dunque la necessità del ricovero ospedaliero. Una riflessione che, riportata alla nostra realtà fa domandare: davvero vale la pena spendere milioni per realizzare una nuova costosa struttura ospedaliera invece di riadeguare l’esistente e con i conseguenti milioni risparmiati finanziare interventi di medicina preventiva e assistenziale sul territorio? In altre parole, “meno malattia e meno ospedale”. Investire nella medicina territoriale significa meno malattie e quindi meno ricoveri e dunque possibilità di intervenire migliorando e razionalizzando la situazione degli attuali ospedali del territorio, proprio partendo dal Guglielmo da Saliceto (Polichirugico incluso). Oltretutto considerando che, concluso un ricovero, se il paziente dimesso non trova un adeguato sistema che gli consenta un buon controllo del suo stato post operatorio corre il rischio di un’ulteriore necessità di assistenza ospedaliera e quindi di ricovero».

Serventi con il suo libro riflette poi sui provvedimenti emergenziali del biennio 1992-1994 consistiti nella regionalizzazione e aziendalizzazione del sistema, scelte che hanno posto in capo ai bilanci delle regioni il ripiano di eventuali disavanzi. Ne è seguita una lunga stagione, durata fino alla pandemia, nella quale il focus dell’azione di governo e della gestione si è concentrato sull’obiettivo di erogare i servizi senza compromettere la sostenibilità finanziaria, mediante azioni di razionalizzazione della rete e dell’offerta prestazionale.

«Conseguenza? In questa corsa alla sostenibilità, il titolare del diritto, cioè il cittadino con il suo bisogno, è passato spesso in secondo piano – prosegue il comunicato –. Dunque il nostro diritto alla salute è diventato non più “fondamentale” ma finanziariamente condizionato, stabilendo così di fatto la priorità del vincolo finanziario prestabilito, rispetto alla tutela concreta del diritto. Con ciò rendendo inevitabile e progressiva la compressione dell’offerta e quindi il razionamento delle prestazioni cosa che ha portato al proliferare dell’offerta privata naturalmente a pagamento con disponibilità per i più abbienti e spesso alla rinuncia alla cura e conseguentemente al diritto alla salute per tutti gli altri. Con tanti saluti all’universalismo sanitario e all’accesso al diritto alla salute uguale per tutti. La salute quindi riservata ai benestanti, a chi può permettersi una polizza sanitaria oppure la fortuna di lavorare in aziende che hanno strumenti di welfare aziendale a disposizione. Certo, si può osservare che lo Stato non ha sufficienti risorse per “dare tutto a tutti”. Occorre “fare scelte di priorità”. Bene ma, si osserva, una politica tesa al contrasto dell’enorme evasione fiscale che caratterizza il nostro BelPaese non garantirebbe quelle maggiori risorse che mancano alla salute e alla scuola? Invece il governo attualmente dichiara prioritario la spesa nella misura di miliardi da destinare in inutili e pericolosi armamenti a fronte di ipotetiche minacce di guerra che sono solo frutto di propaganda utile ad evitare le mancanze di fronte alle necessità vere (appunto lotta all’evasione fiscale, investimenti nel welfare pubblico ovvero innanzitutto sanità e scuola). Quindi: meno ospedale, meno ricoveri a fronte di interventi volti a ridurre le malattie e quindi i malati. Bisogna agire per creare integrazione tra diversi ruoli e discipline sul territorio – osservano gli organizzatori –, in particolare tra medici ospedalieri e medici di base, ripensare al ruolo del personale infermieristico e degli altri operatori sanitari riconoscendo adeguati livelli di autonomia. Interessante in questo senso l’esperimento della costituzione dei Cau anche se occorre fare attenzione: una presunta struttura ospedaliera (come Fiorenzuola, Castello, Bobbio) può ancora definirsi tale senza la presenza di un pronto soccorso strutturato? Che garanzie vengono garantite all’abitante di Ferriere, di Lugagnano, di Gropparello che, in caso di emergenza, deve comunque raggiungere l’unico pronto soccorso provinciale nel capoluogo cioè a chilometri di distanza e di conseguente tempi lunghi necessari per il raggiungimento?».

L’ultimo interessante stimolo che troviamo nella pubblicazione di Serventi riguarda il livello di democrazia: chi deve decidere e chi decide i bisogni di salute e le modalità per farvi fronte?

«Una riflessione fondamentale. La legge del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale basava tutto il sistema decisionale sulla partecipazione dei cittadini per cui la sanità era definita e gestita da chi aveva la rappresentanza dei cittadini. Ovvero i Comitati di Gestione nominati (indirettamente) dai cittadini votanti presenti in un dato territorio. L’aziendalizzazione – continuano gli organizzatori – ha cambiato tutto proprio all’insegna non della soddisfazione del bisogno di salute ma del rendiconto finanziario. Dunque il potere decisionale attualmente è di chi governa la borsa. Ovvero la Regione ed è la Regione che decide. Nel nostro caso quindi le principali decisioni innanzitutto economiche avvengono non entro i confini territoriali della provincia ma altrove, a Bologna. Che deve tener conto delle necessità territoriali ma inserendole in un contesto globale, che comprenda le destinazioni economiche a tutte le 14 Asl regionali. Così possono succedere fatti curiosi. Come avvenuto nel 2015 quando l’allora assessore regionale alla sanità in un convegno in Sala Colonne del nostro ospedale annunciò che Piacenza era stata individuata (da e a Bologna) per realizzare un nuovo ospedale lasciando di stucco l’intera sala e, nei giorni successivi, l’intera comunità di gestione amministrativa piacentina (sindaci, partiti, movimenti politici e strutture sociali di volontariato). E, da allora, ci si domanda o quantomeno come ex dirigente Ausl e come cittadino mi domando: cui prodest? Forse, vien da pensare, a quanti si propongono in cabina elettorale per essere eletti (l’idea di un nuovo ospedale può essere in linea potenziale elettoralmente utile), forse a quanti otterranno appalti e subappalti a suon di milioni (si parla di oltre 300 milioni complessivi), forse ai privati che finanzieranno parte dell’impresa ottenendo in cambio per 20 o 30 anni la gestione di servizi di supporto ricavandone un utile decisamente “interessante” per il privato ma non certo per il cittadino sulle cui tasche ricadrà comunque l’onere finale. Ma, a parte queste considerazioni, sorge un ulteriore riflessione: ammettendo che si ribadisca l’universalità del sistema e dunque che ogni decisione competa ai cittadini residenti in un dato territorio, a cosa si può concretamente pensare? Dunque riduciamo il potere decisionale della Regione ribadendo il suo ruolo di servizio ai bisogni dei singoli territori. Questo significa intanto ridurre il ruolo dei direttori generali attualmente chiamati di fatto a gestire in nome e per conto della Regione alla quale sola devono rispondere (in concreto è la Regione che li sceglie, che li nomina, che può confermarli o sostituirli in base alla loro capacità attuativa delle linee dispositive date sempre dalla Regione). Quindi a chi può competere il ruolo di analisi e definizione dei bisogni, di definizione delle linee programmatiche di intervento, di valutazione delle decisioni e dei risultati ottenuti dalla gestione? Forse ai sindaci in quanto eletti e quindi rappresentanti diretti dei cittadini? Potrebbe essere ma, dobbiamo chiederci, ne hanno la competenza? Siamo sinceri: vediamo la capacità di incidere nelle decisioni da parte della nostra Conferenza Socio Sanitaria e, per quanto mi riguarda, in molti casi mi permetto di stendere un pietoso velo di silenzio. Dunque ammettiamo comunque che la via corretta possa essere questa ma che, per renderla operativa, saranno necessarie soluzioni di adeguato sostegno tecnico in forma autonoma dall’Ausl appunto ai sindaci in grado di garantirne una effettiva capacità di confronto e di direzione rispetto alle scelte gestionali del direttore generale di turno».

Su tutto questo sarà appunto interessante seguire l’iniziativa di giovedì 2 ottobre alle ore 18 alla Sala Biffi ascoltando le considerazioni e le proposte in merito da parte di Piersergio Serventi a confronto con Patrizio Capelli, medico e primario chirurgo dell’ospedale con incarico gestionale di direttore dipartimentale attualmente operativo alla struttura privata Centro Medico Rocca, entrambi protagonisti con il giornalista di Libertà Giorgio Lambri del pomeriggio che avrà l’introduzione di Augusto Ridella referente del Comitato Salviamospedale promotore della presentazione letteraria.