«Mi ha infilato un coltello in bocca e ha cercato di tagliarmi la lingua». Emanuele Ragnedda non batte sul tasto della legittima difesa: ha già ammesso di aver «fatto la scelta sbagliata. Potevo andarmene, invece ho fatto la scelta peggiore». Ma le sue dichiarazioni agli inquirenti – che continuano a trapelare, frammentate – forniscono elementi utili per ricostruire quanto successo nel casolare di Conca Entosa, tra Arzachena e Palau, prima che esplodesse il colpi di pistola che hanno ucciso Cinzia Pinna, 33 anni, di Castelsardo.
«Ho anche provato a rianimarla», ha aggiunto Ragnedda. A confermare un quadro dove il raziocinio sembrava del tutto perso, anche a causa dell’abuso di droghe.
Se un perito ha confermato la presenza di alcune ferite d’arma da taglio sul braccio del reo confesso – un coltello per affettare il prosciutto – per verificare la veridicità delle altre sue affermazioni sulla dinamica del delitto bisognerà attendere i risultati della tac effettuata questa mattina sul corpo della vittima, abbandonato in campagna per più di dieci giorni.
Un ulteriore esame dovrebbe essere effettuato mercoledì, mentre l’autopsia potrebbe essere fissata per il giorno successivo.
Vanno avanti intanto le indagini per identificare eventuali complici di Ragnedda, che lo avrebbero aiutato nei giorni successivi all’omicidio e all’occultamento del cadavere.
Persone – l’attenzione si concentra su due donne e un uomo – che potrebbero essere state nella casa del delitto, dove era impossibile non notare tracce di sangue e confusione, e aver aiutato l’assassino a far sparire prove importanti.
© Riproduzione riservata