L’ex centravanti rossoblù a 42 anni si diverte ancora in Portogallo con l’Avs Futebol: “Sono cresciuto senza padre, ho lavorato fino a 18 anni. Galliani fece un accordo su di me con Cellino…”
Francesco Albanesi
28 settembre 2025 (modifica il 29 settembre 2025 | 08:48) – MILANO
A Cagliari c’è stato un tempo in cui un ex controllore di biglietti regalava staffilate d’esterno sotto l’incrocio dei pali. Gigi Buffon ne sa qualcosa. Anderson Miguel da Silva, in arte Nené grazie alla nonna, è cresciuto senza padre, lavorando sugli autobus per aiutare la famiglia. A 18 anni ha mollato tutto per inseguire un pallone. Oggi di anni ne ha 42 ed è capitano dell’Avs Futebol, società nata tre anni fa e che milita nel massimo campionato portoghese. Nené è sincero, si racconta a ruota libera e ti risponde dalla macchina mentre torna a casa dall’allenamento.
Nené, come si sente fisicamente a 42 anni?
“Mi sento bene nonostante alcuni dolori. Gioco ancora ad alto livello, mi alleno sempre con la squadra e non faccio differenziati. Potrei tirare fino a 44-45 anni, ma penso che questo sarà il mio ultimo anno da calciatore”.
“L’allenatore. Ho fatto i corsi per il patentino, attualmente ho l’Uefa B. Voglio rimanere nel mondo del calcio”.
Che tipo di realtà è l’Avs Futebol?
“È una squadra fondata appena tre anni fa, acquistando il titolo sportivo del Vilafranquense. Siamo partiti dalla seconda divisione portoghese e abbiamo fatto subito la promozione, salvandoci l’anno scorso ai playout. Quest’anno abbiamo cambiato tanti giocatori, tra cui Memo Ochoa (attualmente svincolato, ndr), ma quelli che sono arrivati hanno qualità. Nelle prime quattro abbiamo raccolto solo un punto, non la migliore delle partenze, ma sono sicuro che faremo bene quest’anno. Io sono il capitano”.
Apriamo il capitolo origini.
“Mio padre è andato via di casa quando avevo due anni, è come se non l’avessi mai avuto. Mia madre, invece, faceva la donna delle pulizie. Sono cresciuto nella povertà insieme ai miei due fratelli maggiori. Dai 12 ai 17 anni ho lavorato come controllore sugli autobus, obliteravo i biglietti. Mi svegliavo alle cinque di mattina e tornavo a casa alle cinque di pomeriggio, portavo qualche soldo a casa per aiutare la mia famiglia. Poi doccia al volo e scuola fino alle undici di sera, a mezzanotte ero a letto. Per cinque anni questa è stata la mia vita”.
“Quando mollai il lavoro, avevo 18 anni. Cominciai a giocare a calcio grazie a un amico che mi portò con lui agli allenamenti del San Paolo Center, era una scuola calcio. Facemmo amichevoli contro squadre di prestigio, San Paolo e Santos per intenderci. Feci grandi prestazioni e da lì il mio nome cominciò a circolare”.
Quale nome: Anderson Miguel da Silva o, più semplicemente, Nené?
“Nené. Il nome nacque da mia nonna che non sapeva né pronunciare né scrivere Anderson. Lei non era mai andata a scuola. Siccome ero il più piccolo tra i miei fratelli, Nené è una sorta di “nino” per gli spagnoli, cioè “bambino”. Anche le poche volte che giocavo per strada con i miei amici mi chiamavano Nené”.
Sfatiamo un mito: lei è destro o mancino?
“Sono destro di piede, ma non ho mai avuto problemi a utilizzare il mancino. Non ho mai allenato il mio piede debole, penso sia un talento naturale. Pensi che anche i miei fratelli non hanno mai avuto problemi a usare sia il destro che il sinistro”.
Come arrivò a Cagliari?
“Davide Lippi portò il mio nome in Italia. Sul tavolo avevo due trattative: Cagliari e Milan. Cellino mi volle tanto anche perché era nato il mio stesso giorno e mese (28 luglio, ndr)”.
Che rapporto aveva con Cellino?
“Ho sempre avuto un rapporto stretto. Lui era sempre al campo a vedere gli allenamenti. È stato una sorta di papà, quello che non ho mai avuto. Mi ha voluto portare a Cagliari e ha facilitato il mio inserimento in spogliatoio”.
Perché quindi Cagliari e non il Milan?
“Galliani fece un accordo con Cellino. Se avessi fatto bene da agosto a gennaio con i sardi, avrei firmato con i rossoneri nel mercato invernale 2010. Segnai 6 gol, di cui uno storico contro la Juventus: destro all’incrocio con Buffon battuto. Penso sia il migliore della mia carriera. Alla fine decisi di rimanere in Sardegna, stavo bene, c’era il mare e pian piano stavo guadagnando il mio spazio, pur non essendo un titolare fisso alla prima stagione”.
Con chi ha legato di più a Cagliari?
“Avelar veniva sempre a casa mia, facevamo i barbecue. Lui era solo a casa, quindi lo invitavo sempre. A volte andavamo anche in spiaggia a fare il bagno e prendere il sole”.
In Sardegna Allegri fu il suo primo allenatore.
“Quando sono arrivato in Italia non parlavo la lingua. Max mi spronava a imparare l’italiano, mi parlava della cultura del vostro Paese, di quanto fosse indispensabile avere lo stesso linguaggio dello spogliatoio. Sul campo mi diceva sempre che ‘l’attaccante è il primo difensore’. Voleva sacrificio da parte di tutti, perfino dagli attaccanti. Con me è stato una persona incredibile. Mi ha aiutato, migliorandomi anche dal punto di vista tecnico”.
Di Davide Astori cosa ricorda?
“Persona fantastica, sempre allegra, amante dei viaggi. Gli piaceva tantissimo uscire a cena insieme, fare gruppo anche al di fuori del campo. Sarà sempre nei miei ricordi Davide”.
A Verona cosa non ha funzionato?
“Non mi sono trovato con Mandorlini. Avevamo idee diverse, giocai appena 11 partite in sei mesi. Amen, può capitare”.
A La Spezia, invece, è stata tutta un’altra storia: 20 gol in Serie B.
“Due stagioni e mezzo fantastiche. In Liguria ci sono arrivato nel febbraio 2015, ho giocato quasi sempre da titolare. Circondato dal mare mi sento bene, sarà che si respira un’aria diversa. Ho avuto grande fiducia da piazza e allenatori”.
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