Di K-pop si è sentito parlare molto quest’estate per l’uscita di ‘KPop Demon Hunters’, film d’animazione che vede protagoniste tre giovani cantanti, ma anche cacciatrici di demoni. Se il cartone animato, distribuito da Netflix, ha scatenato l’entusiasmo dei fan del genere, la recente uscita di un libro ha invece riacceso le polemiche riguardanti quello che molti definiscono il “lato oscuro del K-pop”. La giornalista Jeon Da-hyeon ha infatti pubblicato un’inchiesta che vuole svelare le contraddizioni strutturali del sistema di formazione degli idol coreani, che affrontano rigidi percorsi (chiamati training) durante i quali sono sottoposti anche a uno stretto controllo dietetico che arriva a rovinare la loro salute. La notizia più sconcertante del libro? Otto su dieci ragazze trainee (così sono chiamate le giovani leve del k-pop) smettono di avere il ciclo.

SOUTH KOREA CINEMA FILM FESTIVAL

Maggie Kang, regista di K-Pop Demon Hunters

L’inchiesta sul lato oscuro del K-pop

Il libro ‘K-pop, Idols in Wonderland’ si basa su interviste fatte a più di 40 professionisti dell’industria musicale coreana, inclusi idol, trainee, produttori, capi di agenzia, critici musicali, avvocati, fan. Lo scopo di Jeon era quello di svelare i segreti del sistema che crea vere e proprie star globali e di mostrarne le contraddizioni e i lati oscuri. Il genere è infatti famoso anche per il cosiddetto ‘training’, un lungo e difficile percorso di formazione artistica a cui partecipano i giovani(ssimi) selezionati da diverse etichette. Le future star seguono corsi di canto, danza, performance all’interno di programmi rigidamente organizzati. Inoltre, rinunciano alla vita sociale e amorosa: è stata molto discussa la regola del “dating ban”, ovvero del divieto di avere relazioni romantiche al fine di concentrarsi esclusivamente sulla formazione. 

Nella sua inchiesta, Jeon mette in luce somiglianze tra l’addestramento degli idol e istituzioni culturali autoritarie, come il processo di reclutamento della Moranbong Band in Corea del Nord. A differenza degli stati comunisti che mancano di maturità per produrre prodotti culturali globali, il modello coreano funzionerebbe confinando i minorenni all’interno di un sistema sotto il pretesto della professionalità, scrive Jeon. 

Questa visione del sistema di training non è condivisa da tutti gli esperti: secondo Paola Laforgia, autrice di ‘Fattore K. L’ascesa della cultura pop coreana’, il sistema di training degli idol coreani, che riprende elementi dal J-pop di Johnny Kitagawa e dal modello statunitense di Maurice Starr, può essere paragonato al percorso della danza classica o dello sport professionistico, dove si inizia molto presto e si dedica grande tempo alla formazione. Ciò che lo distingue è l’applicazione di un simile metodo rigoroso al mondo della musica pop, cosa insolita in Occidente.

La bellezza (standard) ad ogni costo

L’opera di Jeon include resoconti duri da parte di addetti ai lavori. Tra questi, le parole di un funzionario di un’agenzia che ha affermato: “Otto su dieci trainee donne smettono di avere il ciclo”, a causa controlli dietetici estremi che danneggiano il corpo. La chirurgia estetica imposta tramite “gaslighting” porta alcune trainee a non riconoscere più il loro volto. L’idea della necessità di raggiungere degli standard di bellezza è estremamente diffusa nella società coreana e ancora di più in questo tipo di ambienti. Inoltre, le trainee sono spinte a rispettarli anche dalla paura di essere espulsi dai programmi.

Sempre Paola Laforgia collega queste dinamiche a tendenze più grandi che riguardano l’intera società del paese asiatico: “La società coreana è una società collettivista, in cui c’è un senso del dovere diverso dal nostro e un senso della colpa e della vergogna diversi dai nostri”. Inoltre, “idee come la disciplina, il duro lavoro per raggiungere un obiettivo non sono una peculiarità del sistema di training, ma sono qualcosa di incorporato nella cultura coreana in generale”. 

Il rispecchiarsi tra dinamiche sociali e dinamiche interne all’industria del K-pop riguarda anche le questioni di genere: “Esistono differenze nel trattamento di uomini e donne all’interno del mondo del K-pop così come esistono all’interno della società coreana”. Sicuramente gli standard di bellezza imposti alle giovani trainee sono più rigidi rispetto a quelle imposte ai colleghi uomini. Ma questo avviene in moltissimi altri ambiti. 

 

Negli ultimi anni, alcuni ex Idol hanno denunciato pubblicamente le dure condizioni a cui erano sottoposti durante il periodo di training, accendendo un dibattito tra i fan sui rischi legati a questo tipo di sistema. Il dibattito sul K-pop, quindi, resta aperto: da un lato un’industria capace di creare star di fama mondiale e di influenzare profondamente la cultura globale, dall’altro un sistema che impone sacrifici a giovani artisti ancora in formazione. Il libro di Jeon Da-hyeon contribuisce a portare alla luce queste contraddizioni, stimolando una riflessione non solo sull’industria musicale coreana, ma anche sui meccanismi di successo e consumo che caratterizzano l’intrattenimento contemporaneo.