Agli anziani sempre meno fondi, mentre per gli immigrati aumento del 29,3%
Asili, famiglie e assistenza ad anziani, persone fragili e immigrati: i comuni italiani mettono sul piatto 10,9 miliardi per i servizi sociali. Del totale, 812 milioni gravano direttamente sulle famiglie e 1,2 miliardi provengono dal Servizio Sanitario Nazionale, mentre la quota principale resta a carico dei bilanci comunali, con 8,9 miliardi di spesa corrente suddivisi tra 1,4 miliardi per i nidi e 7,5 miliardi per la rete dei servizi sociali. È quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Istat La spesa dei comuni per i servizi sociali – Anno 2022, che offre la fotografia più aggiornata del welfare locale.
Negli ultimi dodici mesi osservati, la spesa sociale comunale è aumentata del 5,8% a prezzi correnti, ma senza guadagnare peso sull’economia nazionale. L’incidenza sul Pil, infatti, è rimasta stabile allo 0,46%, lo stesso livello registrato l’anno precedente. Una quota che racconta un percorso fatto di oscillazioni: dallo 0,39% del 2004 si è arrivati allo 0,47% nel 2009, per poi scendere e stabilizzarsi intorno allo 0,42% tra il 2015 e il 2019. Solo nel 2020, grazie ai finanziamenti straordinari legati all’emergenza Covid e ai buoni spesa, si è tornati temporaneamente allo 0,47%.
Servizi sociali, le categoria interessate
Guardando a come vengono distribuite le risorse dei comuni, il quadro è netto: famiglie e servizi per la disabilità assorbono quasi due terzi della spesa sociale. Ai bambini, ai ragazzi e ai nuclei con figli va il 37,3%, diviso tra nidi e servizi per la prima infanzia (15,4%) e altri interventi sociali (21,9%). Ancora più consistente è la quota destinata alle persone con disabilità, pari al 27,5% del totale.
E gli anziani? A loro tocca appena il 14,8%, nonostante siano la fascia della popolazione che cresce più velocemente. Un dato che stona ancora di più se confrontato con quello dedicato agli immigrati: 5,1% del totale, in forte aumento negli ultimi anni. Bene che crescano le risorse per l’inclusione e l’integrazione, ma perché non succede lo stesso per gli over 65, che rappresentano una fetta sempre più ampia del Paese? Le altre voci restano marginali: il 9% è destinato a povertà ed esclusione sociale, appena lo 0,3% alle dipendenze e il 6% ad attività generali o multiutenza.
Ma non si tratta solo di come vengono ripartite le risorse, conta anche dove. La spesa sociale varia infatti in modo marcato a livello territoriale: come si vede dal grafico, nella Provincia Autonoma di Bolzano ogni residente beneficia in media di 607 euro l’anno di spesa comunale per i servizi sociali, mentre in Calabria la quota scende a soli 44 euro. Un divario che fotografa bene quanto l’accesso al welfare locale dipenda dalla capacità di spesa dei bilanci regionali e comunali.
Il welfare comunale a sostegno delle famiglie
Le famiglie con figli assorbono una parte sempre più rilevante del welfare dei comuni italiani. La spesa complessiva è di 3,3 miliardi di euro, in aumento del 4,7% rispetto all’anno precedente. Quasi la metà delle risorse, 1,4 miliardi di euro (41,2%), è destinata a nidi e servizi per la prima infanzia, mentre la quota restante, 1,9 miliardi, copre interventi sociali in senso stretto. Ne caso specifico significa in media 362 euro all’anno per ogni under 17 residente, ma i divari sono enormi: si va dai 96 euro della Calabria agli 883 euro della Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen.
Non si tratta solo di bilanci, ma di servizi concreti. Nel 2022 oltre 734.500 minori e famiglie sono stati presi in carico dal servizio sociale professionale (+7,7% sul 2021), con una spesa di 190 milioni di euro. Le attività extrascolastiche hanno coinvolto 223.000 ragazzi in iniziative culturali e 196.000 nei centri estivi. Per le famiglie più fragili si contano 187.000 contributi per servizi scolastici, 109.500 per l’alloggio e 104.500 per il reddito familiare. Le strutture residenziali restano la voce più onerosa: 46.700 utenti accolti in un anno, per un costo complessivo di 741 milioni di euro.
Comuni e sostegno alla disabilità
La disabilità è diventata un tema centrale nei bilanci comunali. Nel 2022 i fondi hanno raggiunto i 2,4 miliardi di euro, con un aumento del 10,9% rispetto al 2021 e addirittura del 44% rispetto a dieci anni prima. Un salto che segna una discontinuità rispetto al passato: la media nazionale arriva a 2.217 euro l’anno per ogni persona con disabilità sotto i 65 anni, segnale di una maggiore attenzione a un’area che in passato restava spesso ai margini.
Eppure le differenze non si cancellano. Nel Nord-est la spesa pro-capite tocca i 2.740 euro, mentre al Sud resta ferma a 1.070 euro. Anche dentro le stesse aree il divario è evidente: nei Comuni centrali si spendono in media 2.350 euro, contro i 1.782 euro delle aree interne. Nel Centro il gap arriva al −34,4%, seguito dal Sud (−28,4%) e dal Nord-ovest (−18,4%). Unica eccezione il Nord-est, dove i Comuni periferici investono addirittura di più (+3,7%). Ma il dato più critico resta quello delle aree interne del Sud, ferme a 844 euro l’anno, meno della metà della media nazionale.
Gli anziani aumentano, i fondi no
Gli anziani in Italia aumentano, ma i soldi messi a disposizione dai Comuni non seguono lo stesso ritmo. Nel 2022 la spesa sociale destinata agli over65 è stata di 1,3 miliardi di euro, pari al 14,8% del totale. Dieci anni prima questa quota era più alta, quasi al 20%, e in media ogni anziano riceveva 107 euro l’anno di servizi. Oggi la cifra si è ridotta a 93 euro, nonostante il numero di potenziali beneficiari sia cresciuto. In altre parole, la popolazione invecchia ma il welfare locale non si allarga.
Il divario territoriale rende questa fotografia ancora più netta. In Provincia di Bolzano la spesa per anziano supera i 1.459 euro annui, mentre in Calabria si ferma a soli 19 euro. Anche allargando lo sguardo alle macro-aree emergono squilibri: al Nord-est la media è di 174 euro pro-capite, più del quadruplo dei 40 euro del Sud. Le Regioni a statuto speciale (tranne la Sicilia) restano le più generose, mentre il resto del Paese mostra valori spesso in discesa rispetto a dieci anni fa.
Un capitolo importante riguarda i servizi. L’assistenza domiciliare pesa per 464 milioni di euro e raggiunge in media 33 euro per anziano residente, ma con differenze abissali: 47 euro al Nord-est contro 21 euro al Sud. Sul fronte delle strutture residenziali, nel 2022 i Comuni hanno speso 526 milioni di euro per accogliere circa 106.000 anziani, pari appena allo 0,8% dei potenziali beneficiari (era lo 0,9% nel 2012). Anche qui i contrasti sono forti: al Nord-est trova posto il 2,2% degli over65, mentre al Sud solo lo 0,1%. Un dato che spiega bene quanto il luogo di residenza possa cambiare l’accesso a servizi fondamentali per chi non è più autosufficiente.
Povertà, più assistiti ma meno risorse
Più poveri presi in carico, meno soldi spesi. È questo il paradosso della spesa comunale contro la povertà: nel 2022 i fondi sono scesi a 800 milioni di euro, con un taglio di 102 milioni rispetto all’anno prima (−11,3%), mentre le persone assistite sono salite a 559.000, quasi 51.000 in più rispetto al 2020. Un ribaltamento che stride soprattutto al Sud: qui la quota di famiglie in povertà assoluta è la più alta d’Italia (11,2%), ma la spesa pro-capite è la più bassa, appena 13 euro a residente tra i 18 e i 64 anni. All’estremo opposto c’è la Provincia Autonoma di Trento, dove i Comuni investono 42 euro pro-capite.§
Dentro questa forbice si muovono servizi che raccontano l’altra faccia del disagio. Le unità di strada hanno visto gli utenti senza dimora crescere da 25.800 nel 2019 a oltre 34.000 nel 2022, mentre i casi di emergenza sociale sono più che raddoppiati (da 6.000 a 13.000). Sempre nel 2022, 33.000 persone senza dimora sono state registrate all’anagrafe con residenza fittizia, condizione indispensabile per accedere a diritti e servizi, circa 8.000 in più rispetto al 2019. E non manca la distribuzione di beni di prima necessità: oltre 41.500 persone hanno ricevuto cibo e altri aiuti, un numero ancora superiore a quello dell’ultimo anno pre-pandemia.
Spesa immigrati ai massimi storici
Nel 2022 i Comuni italiani hanno battuto ogni record di spesa per l’inclusione degli immigrati: 452 milioni di euro, pari al 5,1% del welfare locale. Solo in dodici mesi sono entrati in gioco 102 milioni in più (+29,3%), con incrementi da primato nelle Isole (+40,8%) e nel Sud (+34,6%). Una crescita che segna una svolta dopo anni di alti e bassi: prima il boom del sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati (+73,5% tra il 2013 e il 2017), poi la frenata del 2019 (−6,4%) quando le regole avevano ristretto la platea dei beneficiari, e infine il rilancio del 2020 con l’attuale “Sistema di Accoglienza e Integrazione” (Sai), che ha riaperto i servizi anche ai richiedenti asilo.
A cambiare non sono solo i bilanci, ma anche le persone coinvolte. Nel 2022 il servizio sociale professionale ha preso in carico 159.000 stranieri, il 17,9% in più rispetto all’anno prima. Le strutture residenziali sono esplose: da 22.400 utenti nel 2021 a oltre 34.000, con una spesa salita da 189 a 276 milioni di euro. Più di 85.000 persone hanno avuto accesso alla mediazione culturale, mentre i progetti di integrazione sociale hanno coinvolto 71.000 utenti, con aumenti superiori al 26%. E persino il pronto intervento ha visto raddoppiare i numeri: da 4.000 a quasi 7.000 utenti, con i costi passati da 2,8 a 4,8 milioni di euro.
Fonte: Istat
I dati si riferiscono al 2022
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