I gap tra Regioni

Oggi persistono divari territoriali significativi: le prestazioni per utente variano da 33 in Friuli-Venezia Giulia a meno di 9 in Molise, Campania e Sicilia (media Italia 13,6/utente). Le prestazioni sono terapeutiche nel 71,4% dei casi, socio-riabilitative nel 18,1%, assistenziali nell’8,4% e diagnostiche nel 2,1%. Veneto, Lombardia, Calabria, Umbria e Marche registrano le percentuali più alte di prestazioni socio-riabilitative. L’Italia ha uno dei tassi più bassi di posti letto per cure psichiatriche in Europa (8,1 ogni 100.000 abitanti) e il numero di dimissioni ospedaliere per disturbi mentali è tra i più bassi.

Con il Pnrr servizi concentrati in 4 regioni

Dal Piano nazionale di ripresa e resilienza non è arrivato (almeno per il momento) il colpo di reni: la riorganizzazione delle cure sul territorio prevede che nelle Case di comunità (Cdc) i servizi di salute mentale, dipendenze patologiche e neuropsichiatria infantile non siano obbligatori ma raccomandati, lasciando quindi la valutazione e la scelta alle singole Regioni. Un fattore che contribuisce al “flop nel flop” delle appena 660 case di comunità attivate in tutta Italia a giugno secondo l’ultimo Report Agenas: sempre al primo semestre scorso, appena 293 di queste 660 strutture dispongono di un servizio per la salute mentale, 117 per le dipendenze patologiche e 188 per la neuropsichiatria infantile e adolescenziale.
Le CdC con servizi per la salute mentale – rilevano da Salutequità – sono più diffuse in Emilia-Romagna (81 su 140), Lombardia (77 su 142) e Veneto (63 su 131). Calabria e PA di Trento, pur avendo solo due CdC ciascuna, le hanno dotate di servizi per la salute mentale. In quattro regioni si concentrano più dei due terzi dei servizi di neuropsichiatria infantile e adolescenza: Lombardia (48), Emilia-Romagna (36), Veneto (32) e Lazio (25).
Quanto ai servizi per le dipendenze patologiche, il numero di quelli attivi nelle CdC si riduce ulteriormente e la concentrazione dei circa i due terzi dei servizi presenti (77 su 117) si concentra in 3 regioni: Lombardia 41; Emilia-Romagna 20 e Veneto 16.

Salute del cervello da attenzionare

In Italia si stimano circa 7 milioni di persone affette da emicrania, 12 milioni con disturbi del sonno, 1,2 milioni con demenza di cui 720.000 con Alzheimer, 800.000 con esiti di ictus e 400.000 con Parkinson. A ciò si aggiunge un quinto della popolazione con disturbi psichici, in prevalenza ansia e depressione.
Negli ultimi anni il quadro normativo e programmatorio del Ssn si è arricchito con provvedimenti che cercano di dare risposte: la legge n. 81/2020 che riconosce la cefalea primaria cronica come malattia sociale; il rifinanziamento del Fondo per Alzheimer e demenze (2024-2026); l’aggiornamento del Piano nazionale della cronicità con l’inclusione dell’epilessia; l’avvio del processo di definizione della nuova Strategia nazionale per la salute mentale, a oltre dieci anni dall’ultimo documento. L’Osservatorio Salutequità ha analizzato gli effetti dei provvedimenti sulla cefalea e lo stato dei servizi per la salute mentale per contribuire a questa priorità.

Cefalea, Regioni in corsa contro i ritardi

Il Decreto attuativo per finanziare con 10 milioni di euro progetti innovativi di presa in carico delle persone con cefalea primaria cronica è arrivato con due anni di ritardo, nel marzo 2023 anziché a febbraio 2021. Per le Regioni – sottolineano dall’Osservatorio guidato da Aceti – meno di due anni per progettazione, implementazione e valutazione, con scadenze ravvicinate: presentazione entro dicembre 2023, chiusura dei progetti entro dicembre 2024 e rendicontazione entro gennaio 2025.
La maggior parte delle Regioni ha rispettato i termini per la presentazione dei progetti, ma l’analisi Salutequità mostra che solo 3 regioni hanno anticipato i dati con dichiarazioni, comunicati o documenti. I progetti hanno obiettivi differenziati – riduzione dei tempi diagnostici, definizione di Pdta, telemedicina, campagne informative, formazione di medici di famiglia e pediatri – e raramente includono stanziamenti aggiuntivi oltre ai fondi ministeriali, con il Veneto che spicca con uno stanziamento aggiuntivo di 50.000 euro mentre Puglia e Piemonte sono in fase di valutazione.

Gli indicatori individuati dalle Regioni per monitorare il successo degli interventi sono eterogenei: si va dalla piattaforma di telemedicina e dai rinnovi di piano terapeutico attraverso televisita, al numero di centri che rispondono a una survey di mappatura; dal numero di persone prese in carico con farmaci innovativi rispetto agli aventi diritto, all’impatto della riorganizzazione territoriale sui Pronto soccorso, fino al numero di professionisti formati. Non esiste una piattaforma informatizzata unica o un report di sintesi che possa aiutare ad avere una linea di indirizzo unica, «rischiando così – è l’osservazione di Salutequità – di incrementare ulteriormente le disuguaglianze sul territorio e di compromettere l’efficacia complessiva dell’intervento».