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La transizione industriale individuata da progetti come la Zes Unica può costituire una leva decisiva per il Mezzogiorno, non solo in termini di sviluppo economico ma anche in quanto capace di migliorare indirettamente lo stato di salute e benessere della popolazione, inducendo una maggiore diffusione degli strumenti di welfare sanitario integrativo che possono ridurre di due punti percentuali la rinuncia alle cure per motivi economici. Strumenti che rientrano in quel “Secondo Pilastro” della sanità in Italia – accanto al Servizio sanitario nazionale – che da decenni è in attesa di riforma ma che nell’arco di due anni potrebbe conoscere una svolta.
Perché questo “balzo” in termini di salute e benessere socioeconomico sia possibile occorre però perseguire tre priorità, capaci di attenuare e per gradi superare la fragilità e la disomogeneità territoriale che al Sud ha tra le sue conseguenze più onerose il fenomeno della migrazione sanitaria. A mettere in fila una possibile strategia è l’Osservatorio Salute Benessere e Resilienza della Fondazione Ries Ets, nel Paper “Fragilità economica, Welfare integrativo e Mezzogiorno”, presentato in Senato con la partecipazione di attori cruciali nello scenario economico e sociale del Paese – da Confindustria a Federmanager a Banca d’Italia alle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali come Oms Europa – su iniziativa di Francesco Zaffini, presidente della X Commissione Sanità di Palazzo Madama e promotore del progetto di riforma della sanità integrativa. Che, ha annunciato, «dovrebbe vedere la luce entro fine Legislatura».
Le proposte
«Le nostre proposte di policy si articolano su tre elementi – avvisa il coordinatore dell’Osservatorio Ries Duilio Carusi -: innanzitutto, al Sud va promossa la formazione tecnica e manageriale a supporto dello sviluppo produttivo, contrastando la dispersione del capitale umano verso le aree più sviluppate del Paese. Contestualmente, vanno create le condizioni per permettere ai cittadini di sviluppare il proprio percorso di vita vicino al nucleo familiare di origine. Un elemento fondamentale – avvisa – per migliorare a livello esponenziale le condizioni di salute e benessere di anziani ma anche di giovani adulti, contrastando l’isolamento e la disgregazione che condizionano pesantemente anche le scelte in termini di natalità».
Terza proposta, lo sviluppo del welfare sanitario integrativo a supporto del Ssn come strumento di accessibilità alle cure. Lo ha certificato l’Inapp: il ricorso ai “fondi” taglia dal 5,3% al 3,3% la rinuncia alle cure per motivi economici. Un fenomeno che è in aumento in Italia e che più attanaglia proprio il Sud. «Si profilano tre linee di intervento – spiega a questo proposito Carusi – legate alla promozione di modelli solidaristici e non profit, così da massimizzare la restituzione in termini di servizi, ma anche all’ampliamento della platea eleggibile, estendendo l’accesso ai lavoratori autonomi e ai dipendenti pubblici, con particolare attenzione alle aree del Mezzogiorno dove la presenza di occupazione pubblica è più rilevante. E infine, legate al rafforzamento delle tutele in ambito Long Term Care, non solo per i lavoratori attivi ma anche per anziani e pensionati».
Conta la dimensione delle imprese
La diffusione del Welfare integrativo va però di pari passo con la dimensione aziendale e proprio l’area più svantaggiata del Paese è caratterizzata da un tessuto industriale in cui a prevalere sono le microimprese. Il paper di Fondazione Ries inquadra un vero e proprio circolo vizioso: la debolezza del sistema produttivo locale alimenta la fragilità occupazionale e di conseguenza limita l’accesso al welfare integrativo, contribuendo alla marginalizzazione sociale ed economica delle aree più svantaggiate.
E’ qui che si concentrano le fasce di povertà e fragilità, che in Italia superano nel complesso il 40% della popolazione secondo i dati inediti presentati da Andrea Brandolini, Vice Capo Dipartimento Economia e Statistica Banca d’Italia. Al 2022, il quadro della fragilità economica e della povertà in Italia si componeva di un 3,8% di “solo poveri”, di un 17,9% di “poveri e fragili” e di un 22,2% di “solo fragili” – cioè persone comunque a rischio di scivolare nel mix povertà-fragilità magari per una spesa sanitaria “catastrofica”, a fronte di un 56,1% di “né poveri né fragili”.
Nel Meridione l’incidenza della povertà assoluta è al 12% a fronte di una media nazionale del 9,7% e in cui la rinuncia alle cure – cresciuta dal 6,3% del 2019 al 9,9% del 2024 – incide maggiormente, colpendo per lo più disoccupati, lavoratori precari e soggetti con bassi livelli di istruzione. La sanità integrativa potrebbe dare una mano importante, ma risente della distribuzione geografica dei Fondi sanitari i cui iscritti sono concentrati nelle regioni del Centro-Nord secondo una dinamica che va di pari passo con quella delle imprese, sia per numerosità che per dimensione. Il fatto che al Sud prevalgano le microimprese, si riflette direttamente sul livello di welfare erogato, che cresce proporzionalmente all’aumentare della dimensione aziendale.
I vantaggi della Zes Unica
Da qui l’importanza di un’esperienza come la Zes Unica che dal 2024, rilevano da Fondazione Ries, “costituisce un’opportunità strategica per il rilancio economico e la valorizzazione del Mezzogiorno, con un moltiplicatore economico stimato pari a 2,6” e con una ricaduta di “rigenerazione territoriale” anche su qualità della vita e coesione intergenerazionale per quell’area del Paese.
A certificarne i vantaggi è il direttore generale di Confindustria Maurizio Tarquini: «La Zes Unica con la semplificazione che prevede è un esperimento di successo e non possiamo perderlo: gli investimenti sono la chiave di volta per contrastare e potenzialmente superare anche le fragilità socioeconomiche. Ne abbiamo la prova con la Zes Unica che consente con uno stanziamento di 4,8 miliardi di intervento di ottenere 35mila posti di lavoro e 28 miliardi di investimento». Occorre andare avanti su questa strada». Ma va messa in campo una strategia ad ampio raggio, avvisa ancora Tarquini: «Facciamo crescere le dimensioni delle imprese, facciamo pagare le tasse a chi non le paga e mettiamo in campo tutti gli strumenti per affrontare la sfida Paese di crescere dallo “zero virgola” al 2%. Altrimenti i nostri figli se ne andranno dall’Italia».