KIGALI (Rwanda) – Giusto per strappare il sorriso, quando alla vigilia del mondiale dei professionisti si componeva fra i pochi giornalisti italiani presenti la rosa dei favoriti o dei probabili protagonisti per l’indomani, il nome di Ben Healy entrava e usciva fra certezze assolute e grossi dubbi.
Questo mondiale così atipico, che alla fine ha avuto lo svolgimento di un tappone di montagna proponendone anche i distacchi, deve aver ricordato all’irlandese il giorno di Vire Normandie al Tour de France. Altra tappa di su e giù in cui il folletto della EF Education-EasyPost si esaltò in una guerra allo sfinimento. Tolti Pogacar ed Evenepoel, la sua corsa a Kigali è stata così: un lungo logorio da cui alla fine è uscito meglio di tutti gli altri. «Penso che il podio con Tadej e Remco – ha detto subito dopo – sia una foto davvero speciale. Insieme a uno dei più grandi e un altro che non è poi così lontano da lui».


Il tifo più rumoroso
Il dislivello del mondiale misurava 5.210 metri, quello di Zurigo 2024 si fermava a 4.210, la Liegi del 2025 ne aveva 4.365. Se a ciò si aggiungono la media altura e il fatto che si corresse all’Equatore, è intuitivo capire quale impegno pazzesco sia stato per i corridori.
«E’ stata semplicemente una gara folle – ha spiegato Healy – penso che il risultato lo rappresenti piuttosto bene. Sono riuscito a dare il massimo e arrivare al traguardo è stato davvero bello. Quello che abbiamo vissuto è stato incredibile, a dire il vero. Soprattutto sulla strada per il Mount Kigali, il tifo della gente era pazzesco, uno dei più rumorosi che abbia mai visto. Tantissima gente, è stato davvero bello».


Meglio senza le radio
Da quel tratto in poi, vale a dire dal momento in cui Pogacar ha attaccato, anche la sua indole di lottatore senza limiti ha vacillato. Da quando Tadej è sparito in cima al tratto in pavé, dietro si è trasformata in una gara da vivere pedalata dopo pedalata, sapendo che nulla è mai finito fino alla linea del traguardo.
«Penso che avere qui la radio – ha commentato – sarebbe stata un’arma a doppio taglio. Poteva andare a tuo favore e anche ritorcersi contro. Ma oggi è stata una gara piuttosto semplice, credo. Si poteva davvero vedere cosa stava succedendo intorno e non ho mai avuto dubbi su dove si trovassero gli altri. Ripeto, forse è bello avere più aggiornamenti sui distacchi, ma penso che in generale crei sicuramente più caos».


I grossi progressi di Healy
Healy racconta e ogni tanto strabuzza gli occhi: difficile dire se sia stupito per il suo risultato. Rileggendo ora i risultati di primavera è facile pensare che sarebbe stato sbagliato non infilare il suo nome nei pronostici. Quarto alla Strade Bianche, quinto alla Freccia Vallone, terzo alla Liegi e con una tappa del Tour, Ben sta facendo passi da gigante.
«Penso di aver fatto progressi anno dopo anno – spiega – anche se solo per qualche punto percentuale qua e là. Ho anche perfezionato il mio modo di correre e sicuramente un Tour come quello dell’estate scorsa mi ha dato una piccola spinta in più. Sapevo cosa dovevo fare oggi e penso che abbia funzionato alla grande».


Tutti sulle ginocchia
L’ultima osservazione, Healy la dedica alla durezza della corsa e al fatto che il suo inseguimento con Evenepoel e Skjelmose avesse ormai poco altro da dare.
«Credo che fossimo tutti sulle ginocchia – ha spiegato – era molto difficile dare di più. C’era ancora qualche gamba che potesse fare la differenza? Forse mancava un po’ di convinzione di potercela fare, ma nella mia mente ha prevalso la preoccupazione. Sapevo che c’era ancora molta strada da fare e se avessi ceduto, sarei andato alla deriva. Ho preferito concentrarmi su me stesso, cercando di non scavare troppo a fondo e troppo presto, con il rischio di pagarne davvero le conseguenze».