di
Aldo Cazzullo
Intervista al critico: «Ho subito un’ingiustizia assoluta, non avevo più voglia di mangiare e di vivere. Mi ero chiuso a riccio, sto cercando di riaprirmi agli altri. Mia figlia Evelina? Incomprensibile, non ho nulla da dirle. L’altra figlia, Alba, è stata nobile. Mio figlio Carlo si è astenuto»
«Meglio parlare di persona. Ci vediamo alle sei». Entrare nella casa di Vittorio Sgarbi, nel cuore della Roma barocca, e trovarla vuota, silenziosa, priva dei visitatori e delle grida abituali, stringe il cuore. Lui arriva in salotto puntualissimo, anzi in anticipo, altra stranezza. Un po’ curvo. Smagrito. Non si siede sul divano, si lascia cadere. Capelli lunghi bianchi, barba di qualche giorno. Il lampo negli occhi, però, è sempre quello. Il sorriso breve e improvviso, pure.
Vittorio Sgarbi, come sta?
«Un po’ meglio, grazie».
Ma cos’è successo?
«Sono caduto un po’ in depressione».
E come mai? Lei era l’uomo più invidiato d’Italia.
«Lo so: è inspiegabile».
Il successo, le donne, l’arte, i viaggi…
«Me lo sono chiesto anch’io, il motivo».
E che risposta si è dato? L’inchiesta giudiziaria?
«Forse, anche».
Gli strascichi della malattia e dell’operazione?
«Quella non c’entra niente».
L’insuccesso alle Europee?
«Forse, anche. Quello è stato il colpo di grazia. Ho capito cosa sono le persone, cos’è la politica».
Cos’è la politica?
«La politica dimentica. Ma la vera causa non è stata la sconfitta elettorale».
Quale allora?
«La fine della mia esperienza di governo».
Le dimissioni da sottosegretario alla Cultura.
«Ritengo di aver subìto un’ingiustizia assoluta. Che mi è pesata moltissimo, e mi è stata riconosciuta da pochi».
Da chi?
«Sabino Cassese ha scritto un bell’articolo sul Corriere in mia difesa. Pigi Battista ha fatto notare che tenere conferenze non è certo incompatibile con il lavoro al ministero della Cultura, anzi».
E gli altri?
«Gli altri, niente».
Qualcuno di Fratelli d’Italia è stato solidale con lei?
«Politicamente, nessuno».
La presidente del Consiglio?
«Mai sentita in questi mesi».
E del suo vecchio partito, Forza Italia?
«Non direi».
Come si è manifestata la depressione?
«Mi ha tolto i desideri».
I quadri, le donne?
«Non desideravo più nulla. Non avevo più voglia di vivere. E ho cominciato a rifiutare il cibo».
Anoressia.
«Anche solo vedere il cibo mi repelleva. Terribile».
Quando è finito in ospedale per la prima volta?
«Era febbraio, ricordo Sabrina che guardava il festival di Sanremo accanto al mio letto, al Gemelli».
E lei?
«Io non guardavo niente».
Si rendeva conto di quel che le stava accadendo?
«Certo. Ne avevo una consapevolezza profonda. Ma non riuscivo a reagire».
Come l’hanno curata?
«Farmaci. E nutrizione forzata. Le sacche, le flebo in vena. Ho scoperto che si dice “parenterale”. Ero molto debole, sono arrivato a pesare 59 chili. Adesso sono 71. Vede questi pantaloni? Non mi stavano su».
E poi?
«Sono entrato e uscito dall’ospedale per un po’. Quest’estate sono andato a Viareggio, a casa di amici. Un giorno abbiamo fatto una gita a San Rossore, nell’ex tenuta del presidente della Repubblica. Quel luogo mi ha dato conforto».
Chi si è preso cura di lei?
«Sabrina mi ha salvato la vita. Con il suo amore. E adesso la sposo».
Chi altri?
«Mia sorella Elisabetta. Mi è sempre stata vicina. Sempre. Mi portava in giro per i migliori ristoranti della Versilia, pur di farmi mangiare qualcosa. Ordinava tutti i piatti del menu, nella speranza che almeno uno mi ingolosisse».
Dell’ospedale cosa ricorda?
«La noia».
Ha temuto di morire?
«Ho rischiato di morire. Sono stato in pericolo di vita».
Ma ha avuto paura?
«Paura no».
Qualche artista l’ha ispirata in particolare?
«Caravaggio e Artemisia. Per l’altezza e l’ispirazione che nasce dalla sofferenza».
Lei con Artemisia Gentileschi è sempre stato severo. Diceva che Agostino Tassi, il suo violentatore, era innocente.
«No, non era innocente. Riconosco che aveva ragione Artemisia. Fu ingiustamente torturata, e resistette alla sofferenza, per provare che lui era colpevole».
E lei si è sentito come lei?
«Io ho sentito che alla sofferenza dovevo resistere».
E cosa se ne farà, di questo dolore? Scriverà un libro?
«Spero di dimenticarlo».
C’è qualche quadro, qualche artista che le è mancato in particolare?
«Il più grande di tutti: Piero della Francesca. E i suoi quadri senza tempo».
Le è arrivata l’eco di fuori?
«Sì. Molti messaggi. Ho sentito che c’è gente che mi vuole bene. Luigi Manconi ha scritto un articolo che non mi aspettavo. Massimo Cacciari mi ha chiamato spesso. Come Alain Elkann e Antonio Gnoli. Geminello Alvi è venuto varie volte a trovarmi».
Chi è venuto tra i politici?
«La Russa e Fontana, i presidenti di Senato e Camera. Storace. Il ministro Giuli».
E dell’opposizione?
«Franceschini, una mattina presto, quasi di soppiatto».
È riuscito a leggere?
«Sì. Il Ferdydurke di Gombrowicz. Conosce?».
No.
«È un romanzo di formazione. Il protagonista viene riportato al tempo della sua giovinezza».
In ospedale si è riavvicinato alla sua formazione cattolica?
«No. Anche se ho avuto conforto dalla visita del cardinale di Genova, Angelo Bagnasco, che mi ha richiamato ai valori della vita».
Quindi continua a non credere nell’aldilà?
«No, all’aldilà non credo. Noi sopravviviamo nell’eco di quello che abbiamo fatto. Michelangelo non è morto, perché è stato l’artista più vicino a Dio, e le sue opere riverberano tra noi».
Che cosa l’ha colpita del mondo di fuori?
«Gaza. L’impossibilità di trovare una soluzione. Perché hanno torto entrambi, Hamas e Netanyahu».
Sua figlia Evelina ha chiesto in pratica la sua interdizione.
«Incomprensibile. Non ho capito bene perché l’abbia fatto, e che cosa voglia».
Mi sembra abbastanza chiaro…
«Parla del mio patrimonio? Certo, i quadri sono moltissimi. Cinquecento. Ma non sono più miei. Sono della Fondazione Cavallini-Sgarbi. Me ne sono spossessato. Sono vincolati all’Italia. Non possono lasciare il nostro Paese. Non possono essere venduti, se non in blocco: cosa che mi pare piuttosto difficile».
L’altra figlia, Alba, l’ha difesa.
«È stata nobile».
E il figlio maschio, Carlo?
«Si è astenuto».
In ospedale ha pensato ai suoi genitori?
«Spesso. E ho pensato che mia madre mi avrebbe detto quello che mi diceva Sabrina: di essere forte».
Quando la sposerà?
«Al più presto. A Venezia».
Dove?
«Nella chiesa della Madonna dell’Orto».
Perché?
«Per i suoi splendidi quadri. Tintoretto. E un meraviglioso Cima da Conegliano: il Battesimo di Gesù».
Quello lo conosco. Stupendo. Ma è a San Giovanni in Bragora.
«E certo! (qui, il lampo negli occhi). Alla Madonna dell’Orto c’è il San Giovanni Battista!».
Qualcuna delle sue ex si è fatta viva?
«Le donne importanti della mia vita sono venute tutte al mio capezzale. Annie Papa, l’attrice. Patrizia Lori, una signora veneta…».
Una volta mi raccontò di due donne che alla mostra su Palladio a Vicenza si affrontarono per lei, e una tagliò all’altra la treccia…
«Purtroppo sono morte tutte e due. Sia quella cui fu tagliata la treccia, sia quella che la tagliò».
(Interviene Sabrina Colle: «Vittorio sembra feroce, crudele; in realtà è un sentimentale. Lascia traccia. Le sue ex gli vogliono ancora bene, vogliono il suo bene, e hanno voluto bene a me. Mi sono sentita protetta. Poi certo ha avuto tante storie senza importanza, ma una quindicina d’anni fa lo vidi stranamente preso. Allora gli proposi di farmi da parte, in modo che potesse vivere liberamente il suo nuovo amore. Fu allora che mi propose per la prima volta di sposarmi. Mi sa che adesso ci siamo davvero»).
Sgarbi, per chi è andato a votare nelle Marche?
«Per Acquaroli».
Per quale partito?
«Nessuno».
Resta un uomo di centrodestra?
«Resto il liberale che sono sempre stato».
Adesso desidera qualcosa?
«Ricominciare a vivere. A scrivere. Mi piacerebbe tornare ancora una volta a fare teatro».
Come sono le sue giornate?
«Sto cercando di rafforzarmi. E di riaprirmi agli altri. Mi ero chiuso, come un riccio».
A sua figlia Evelina cosa direbbe?
«Non ho nulla da dirle».
Ai magistrati che indagano su di lei?
«Stiamo preparando le nostre argomentazioni, la mia difesa. Di questo non posso parlare».
E ai suoi ammiratori?
(Qui, il sorriso breve e improvviso): «Vale per me quello che dopo la guerra Gombrowicz scrisse dall’Argentina, dov’era riparato alla vigilia dell’invasione nazista della sua Polonia, ai lettori che avevano amato il Ferdydurke: “Se qualcuno di voi, Ferdydurkisti, risiede ancora tra i vivi, che non perda la speranza — poiché non sono morto”».
1 ottobre 2025 ( modifica il 1 ottobre 2025 | 08:43)
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