Dopo tre camp di selezione tenutisi in due continenti, si apre una pagina storica per il calcio femminile afghano: 23 giocatrici rifugiate sono state ufficialmente selezionate per rappresentare la squadra femminile afghana dei rifugiati, pronte a scendere in campo a fine mese negli Emirati Arabi Uniti per tre amichevoli internazionali.
Un traguardo storico, reso possibile dal progetto Fifa Unites: Women’s Series, parte dell’impegno globale della Fifa per il ritorno del calcio femminile afghano sulla scena mondiale, dopo quasi quattro anni di silenzio forzato.
«L’annuncio della prima squadra femminile afghana rifugiata è un momento speciale e simbolico – non solo per queste 23 straordinarie ragazze, ma per tutto il calcio femminile» ha dichiarato il presidente Fifa, Gianni Infantino, aggiungendo: «Questa iniziativa dimostra il potere del nostro sport nel portare speranza, opportunità e unità. Queste donne coraggiose meritano una piattaforma per competere e mostrare il loro talento. FIFA continuerà a supportarle, oggi e in futuro».
Mentre l’Afghanistan è stato isolato dopo il blackout di internet imposto dai talebani e le donne vivono ormai come ombre in una società che non riconosce loro più alcun diritto, l’iniziativa della Fifa rappresenta un segno di speranza e di riscatto.
Un progetto apripista
Approvato dal consiglio Fifa a maggio scorso come parte della Strategia d’Azione per il calcio femminile afghano, il programma ha messo in campo risorse eccezionali: fondi significativi, strutture di alto livello e un team professionale globale, spiegano da Fifa.
Il cammino è iniziato con tre camp di selezione: il primo in Australia (Sydney), seguito da due raduni presso il celebre centro tecnico di St. George’s Park in Inghilterra. Oltre 70 giocatrici, provenienti da Australia ed Europa, sono state valutate dalla ex nazionale scozzese Pauline Hamill, ora alla guida tecnica della squadra, affiancata da uno staff tutto al femminile composto da oltre 20 professioniste, tra cui preparatrici atletiche, fisioterapiste, nutrizioniste, psicologhe e manager per la tutela.
«Abbiamo avuto l’opportunità di conoscere da vicino le giocatrici. Questo ci ha messo nella posizione migliore per annunciare la rosa finale. È un momento emozionante per tutte noi» ha spiegato Hamill.
Da quattro Paesi per un sogno comune
Le 23 convocate provengono da quattro Paesi: 13 dall’Australia, 5 dal Regno Unito, 3 dal Portogallo e 2 dall’Italia. Una squadra che unisce esperienza e gioventù, accomunata da un unico obiettivo: tornare a rappresentare l’Afghanistan sul palcoscenico internazionale.
Ma il progetto va ben oltre il gioco sul campo: la Fifa ha garantito alle atlete un contesto professionale e protetto, al pari delle migliori selezioni nazionali con viaggi sicuri in collaborazione con l’Unhcr, copertura assicurativa completa, supporto medico e psicologico, programmi su salute femminile e leadership, e un profilo personalizzato per il monitoraggio a lungo termine del benessere di ogni atleta.
«Questa è più di una partita. È l’occasione di riscrivere la mia storia e mostrare al mondo il mio impegno per rappresentare l’Afghanista. Non è solo calcio. È ispirazione, è resilienza» ha raccontato Kereshma Abasi, calciatrice residente in Australia.
Anche Elaha Safdari, portiera del Rotherham United (Inghilterra), ha sottolineato l’emozione: «Abbiamo lottato per questo momento. È difficile esprimere cosa significhi per noi. Ma questo è solo l’inizio: il mondo vedrà cosa possono fare le donne afghane».
Il progetto non si fermerà qui. La Fifa sta lavorando all’inclusione di altre giocatrici rimaste escluse dai primi camp, mentre prende forma un piano di supporto a lungo termine. «Un impegno che ha richiesto un lavoro senza precedenti tra burocrazia, logistica e tutela legale, ma che ora si afferma come modello innovativo per tutto il mondo dello sport» si legge nel comunicato.
La richiesta di escludere Israele
Su tutt’altro fronte la Fifa e la Uefa si trovano di fronte a una nuova richiesta di escludere Israele dalle competizioni. Amnesty International ha inviato una lettera alla Federazione internazionale delle associazioni calcistiche (Fifa) e alla Federazione europea delle associazioni calcistiche (Uefa), chiedendo la sospensione dai propri tornei della Federazione calcistica israeliana (Ifa) fino a quando quest’ultima non avrà escluso dai propri campionati squadre degli insediamenti illegali nel Territorio occupato palestinese.
A sua volta, Amnesty International Italia ha scritto alla Federazione italiana gioco calcio (Figc) affinché si faccia portatrice presso Fifa e Uefa della medesima richiesta.
«Mentre, nell’ambito delle qualificazioni alla prossima Coppa del mondo, la nazionale di calcio israeliana si appresta a incontrare Norvegia e Italia, Israele continua a perpetrare un genocidio contro la popolazione palestinese della Striscia di Gaza. Più di 800 atleti, giocatori e funzionari sportivi sono tra le oltre 65.000 persone uccise da Israele in un’intenzionale campagna di totale devastazione, sfollamento forzato e riduzione alla fame della popolazione civile» ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
Il prossimo Consiglio della Fifa è previsto giovedì 2 ottobre. La Federazione calcistica palestinese è ancora in attesa di una risposta al reclamo formale presentato nel marzo 2024. Sospendere l’Ifa significherebbe che né la Fifa né l’Uefa fornirebbero più fondi all’Ifa e che la nazionale e le squadre di Israele non potrebbero partecipare a tornei internazionali fino a quando la stessa Ifa non avesse rispettato il diritto internazionale e lo statuto della Fifa. Significherebbe inoltre, per l’Ifa, perdere la sua qualifica di federazione associata e il suo diritto di voto per tutto il periodo della sospensione.
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