Un esercito di 160mila lavoratori nel terziario e turismo perde ogni anno tra gli 8mila e i 12mila euro di stipendio a testa, oltre a giorni di ferie e tutele fondamentali. È la fotografia shock che emerge dal rapporto “Dumping contrattuale nei settori del terziario e del turismo” presentato oggi da Confcommercio.

I numeri del dumping contrattuale

Il fenomeno è esploso: in dieci anni i lavoratori coinvolti in contratti pirata sono aumentati del 141,7%. Numeri che raccontano un mercato del lavoro sempre più frammentato, dove su 1.000 contratti collettivi depositati al Cnel, un quarto riguardano proprio turismo e terziario, e la maggior parte sono accordi al ribasso. Oltre al salario ridotto, i lavoratori subiscono un’erosione dei diritti:

  • meno giorni di ferie e permessi;
  • indennità di malattia ridotte;
  • compensi per gli straordinari tagliati;
  • tutela negli infortuni insufficienti.

Un fenomeno che, rileva il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli:

sta assumendo proporzioni sempre maggiori, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, che mina le regole della concorrenza, svaluta il lavoro e crea disparità tra imprese e tra lavoratori.

L’organizzazione punta a “rafforzare la collaborazione con i sindacati”, ma chiede soprattutto “una maggiore attenzione da parte del governo a cui chiediamo un impegno concreto per impedire l’applicazione di contratti sottocosto”.

Cosa sono i contratti pirata

Con il termine “contratti pirata” si intendono quei contratti collettivi firmati da sindacati e associazioni datoriali minoritari, con l’obiettivo esplicito di creare un’alternativa a basso costo ai CCNL tradizionali. La definizione “pirata” deriva dalle condizioni economiche e normative inferiori che impongono: salari più bassi, meno ferie, permessi ridotti e welfare azzerato.

L’applicazione di questi contratti comporta per i lavoratori una perdita su due fronti: retributivo e di diritti. Ma gli svantaggi, seppure meno evidenti, riguardano anche le stesse aziende che li adottano, che possono rischiare:

  • l’esclusione dalle gare d’appalto e potenziali azioni di risarcimento da parte dei competitori;
  • esclusione dalla contrattazione di prossimità.

La diffusione dei contratti pirata è cresciuta a ritmi sostenuti negli anni, alimentata dalla ricerca di un vantaggio competitivo immediato, che però nasconde rischi legali e reputazionali di lungo periodo.

Gli altri Paesi

Il rapporto analizza anche le esperienze di altri Paesi, che hanno messo in atto una legislazione che evita la stipulazione e l’applicazione dei contratti pirata.

Il sistema tedesco si fonda sul principio dell’autonomia collettiva (Tarifautonomie). Tuttavia, la giurisprudenza ha definito criteri rigorosi per identificare i sindacati con reale capacità negoziale. Inoltre, un meccanismo chiave è l’estensione erga omnes dei contratti collettivi: una volta raggiunti certi requisiti, l’accordo viene applicato a tutti i lavoratori e le imprese del settore, azzerando di fatto lo spazio per una concorrenza al ribasso.

In Francia il sistema è ancora più stringente; la validità di un contratto è subordinata alla firma di organizzazioni che rappresentano una quota significativa dei lavoratori, sotto stretto controllo ministeriale. Perché un accordo sia valido, i sindacati firmatari devono aver ottenuto più del 50% dei voti nelle elezioni aziendali.

In netto contrasto, il sistema italiano non possiede un meccanismo legale per misurare la rappresentatività sindacale.

Le proposte di Confcommercio

Per arginare il fenomeno, Confcommercio indica alcune priorità:

  • rafforzare il criterio del contratto più protettivo, superando la logica della soglia minima, soprattutto nel nuovo Codice degli Appalti;
  • introdurre un sistema di misurazione della rappresentatività di sindacati e associazioni datoriali, certificato da enti terzi come CNEL e INPS;
  • delimitare i perimetri contrattuali attraverso un dialogo strutturato, legando il CCNL al codice Ateco dell’impresa;
  • potenziare la vigilanza con un “indice di qualità contrattuale” e strumenti comparativi per supportare gli ispettori del lavoro;
  • rendere obbligatoria l’indicazione del codice unico alfanumerico del CCNL in tutti i contratti individuali e nelle banche dati pubbliche, per garantire tracciabilità;
  • rafforzare la bilateralità come certificazione di qualità, valorizzando gli enti che offrono welfare contrattuale aggiuntivo.