Un dato che scuote e chiama a un’assunzione di responsabilità collettiva: il 17% delle persone con diagnosi di fibromialgia dichiara di aver subito episodi di violenza domestica. È il primo risultato emerso dall’indagine nazionale “Il peso del silenzio”, lanciata da Cfu-Italia, associazione di riferimento per i pazienti fibromialgici, in collaborazione con Nido di Ana, realtà impegnata nella protezione delle donne vittime di violenza con sede a Rieti.
Violenza di genere e salute: il 17% delle donne con fibromialgia ha subito abusi domestici
L’iniziativa è stata presentata nella sala stampa della Camera dei deputati, alla presenza di parlamentari e rappresentanti delle associazioni, con l’obiettivo di approfondire il possibile legame tra l’esperienza della violenza di genere e l’insorgenza della fibromialgia, una sindrome cronica complessa caratterizzata da dolore diffuso e affaticamento, che colpisce in larga maggioranza le donne.
Un fenomeno sommerso
A illustrare i dati è stata Barbara Suzzi, presidente di Cfu-Italia: “L’indagine è partita mesi fa per capire la qualità della vita e le prassi diagnostiche delle persone fibromialgiche. Tra i 30 quesiti, uno riguardava la violenza domestica: dal campione iniziale di 5mila test è emerso che il 17% aveva subito abusi. Da qui la decisione di avviare un percorso di ricerca specifico e parallelo con Nido di Ana”.
L’indagine, ancora in corso e anonima, partirà con un focus su Roma e il Lazio, per poi essere estesa al resto del Paese. L’obiettivo è produrre dati solidi da presentare alle istituzioni sanitarie e politiche, per promuovere interventi mirati di prevenzione, supporto e cura.
Le basi scientifiche del legame
Secondo le promotrici, esistono plausibili meccanismi fisiopatologici comuni tra le conseguenze della violenza domestica e la fibromialgia. “Diversi studi – spiegano Suzzi e Anna Vigilante, presidente di Nido di Ana – documentano un’elevata incidenza di sovrapposizione tra i sintomi psicologici e fisici: la violenza fisica e psicologica reiterata provoca nel tempo un dolore cronico diffuso a carico di ossa, muscoli e tendini, che può favorire l’insorgere o aggravare i disturbi fibromialgici.”
A confermare questa ipotesi concorrono anche le evidenze dell’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui una donna su tre nel mondo subisce violenza di genere e le vittime presentano un rischio doppio o triplo di sviluppare patologie croniche rispetto a chi non ha vissuto esperienze traumatiche.
Un ulteriore supporto arriva dallo studio prospettico EpiWE (Epigenetics for Women), promosso dall’Istituto superiore di sanità con la collaborazione di università italiane: la ricerca ha evidenziato che i traumi derivanti dalla violenza di genere possono indurre modificazioni epigenetiche, influendo sulla risposta dell’organismo e favorendo l’insorgenza di disturbi cronici.
L’appello delle istituzioni
Durante la presentazione, la vicepresidente della Camera, Anna Costa, ha lanciato un monito: “Lo Stato non può ignorare un fenomeno così rilevante. La violenza di genere non è solo un’emergenza sociale ma anche un problema di salute pubblica che incide pesantemente sulla vita delle donne e sui costi del sistema sanitario. Serve un impegno congiunto di istituzioni, ricerca e terzo settore per rompere il silenzio e garantire protezione e cure adeguate.”
Costa ha sottolineato che la rilevanza dei dati impone un potenziamento della rete dei Centri Antiviolenza e una maggiore attenzione alla formazione del personale sanitario, affinché sia in grado di riconoscere i segnali di rischio e indirizzare le vittime verso percorsi di supporto.
Un tema di salute e di politiche pubbliche
Il legame tra violenza di genere e fibromialgia apre una riflessione ampia, che tocca sia il campo della salute pubblica sia quello della giustizia sociale. Il dolore cronico e le conseguenze psicologiche che ne derivano non solo riducono la qualità della vita delle vittime, ma comportano anche costi significativi per il sistema sanitario e per il mondo del lavoro, a causa delle assenze, della ridotta produttività e della necessità di cure continuative.
Per le associazioni promotrici, riconoscere e indagare questo legame significa dare voce a un fenomeno sommerso, superando lo stigma che spesso circonda sia la fibromialgia sia la violenza domestica.
Prossimi passi
L’indagine proseguirà nei prossimi mesi con l’obiettivo di raccogliere un campione sempre più rappresentativo a livello nazionale. I risultati finali saranno presentati nel 2026 e serviranno come base per avviare protocolli integrati di prevenzione e cura, che mettano insieme servizi sanitari, Centri Antiviolenza e associazioni di pazienti.
Come ha ricordato Vigilante, “rompere il silenzio è il primo passo per interrompere il ciclo della violenza e dare alle donne colpite dalla fibromialgia un percorso di cura più mirato. Le istituzioni devono investire in ricerca e supporto psicologico, perché la salute delle donne è un indicatore della salute dell’intera società.”
Con la presentazione di “Il peso del silenzio”, il tema della violenza di genere entra così a pieno titolo nel dibattito sulla salute pubblica, spingendo a considerare la prevenzione della violenza come un intervento anche di sanità preventiva, con ricadute positive non solo sul piano umano ma anche su quello economico e sociale.