Ora o mai più. Un senso d’urgenza percorre il vertice dei grandi d’Europa riuniti sotto i cieli schermati di Copenaghen, la capitale danese trasformata in un fortino. Ci pensa la premier Mette Frederiksen, padrona di casa, a chiarire la posta in gioco mentre accoglie i leader europei al castello reale di Christiansborg. Si scaglia contro «la guerra ibrida russa», chiede «una risposta molto forte» dopo le violazioni dello spazio aereo danese – olre a quello estone e polacco – che hanno messo in allarme gli alleati. Un muro anti-droni. Ne discutono i 27 a conclave. E mentre discutono la cronaca irrompe e si prende la scena. Tardo pomeriggio. L’allarme risuona da Est. Il governo polacco ordina a sei caccia F-16 di alzarsi in volo. Due droni sono diretti verso lo spazio aereo dai cieli ucraini. Non sono giocattoli, ma Shahed. I temutissimi velivoli di fabbricazione iraniana che da tre anni la Russia scaglia contro il nemico in guerra. Un’altra incursione sfiorata. A Copenaghen, intanto, gli europei si confrontano su come finanziare e quanto estendere la barriera anti-droni sul confine orientale. La proposta lanciata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen inizia a prendere forma. Ma fra mille incognite, perché le ricette divergono.
I PALETTI
«Più che un semplice muro l’Ue deve dotarsi di un sistema di osservazione e allerta precoce, di difesa e capacità di deterrenza» avvisa Emmanuel Macron. Pianta paletti anche Giorgia Meloni. La premier italiana atterra nella tarda mattinata. Spiega al suo arrivo al castello che «i confini della Nato sono molto estesi, se facciamo l’errore di guardare solo al fianco Est dimenticandoci del fianco Sud rischiamo di non essere risolutivi». Ovvero: l’Italia chiede che una parte importante delle risorse per il “muro” aereo – nei fatti, un “esercito” di droni da scagliare contro i velivoli nemici – sia destinata al fianco Sud. «Serve sangue freddo», avvisa la premier all’inizio dei lavori. Fosse facile. La tensione nella capitale danese si taglia col coltello. È visibile, palpabile. Nei cecchini che si alternano sui tetti del centro storico mentre i cortei di auto blindate bloccano la città. Nelle squadre di specialisti ucraini inviate da Zelensky per garantire uno schermo contro eventuali intrusioni di droni. Non si parla d’altro durante il summit nella “città dei mercanti” raccontata da Andersen. Mentre proseguono spedite le indagini sull’incursione aerea che una settimana fa ha bloccato gli aeroporti di mezzo Paese. Nel mirino una petroliera russa che proprio in quelle ore navigava a una manciata di chilometri dalla Capitale. Rientra nella “flotta fantasma” di navi sanzionate da Ue e Stati Uniti per il trasporto illegale di petrolio. Sabato mattina è approdata in Normandia. E un team di forze speciali francesi ha fatto un blitz a bordo per ispezionarla. Nel vortice di riunioni a Copenaghen i ventisette si concentrano sulla minaccia ad Est, la guerra russo-ucraina che non accenna a pause di sorta. Da un lato i droni. Dall’altro si discute come presentare un conto alla Russia, quando tutto sarà finito. La questione degli asset finanziari di Mosca congelati in Europa finisce al centro delle sessioni di lavoro. E vede gli alleati muoversi sostanzialmente in ordine sparso. Questione spinosissima, anche per l’Italia. Meloni studia il dossier sull’aereo da Roma. Ne ha parlato nei giorni scorsi con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, reduce anche lui da un Ecofin in Danimarca. L’idea che inizia a camminare nel conclave europeo è utilizzare i 140 miliardi di euro di asset russi, congelati nella banca belga Euroclear, per finanziare un maxi-prestito all’Ucraina che servirà a pagare in “anticipo” le riparazioni di guerra di Mosca.
I DUBBI ITALIANI
Da Roma il governo ha chiesto chiarimenti alla Commissione europea. Si teme l’impatto che le “garanzie” europee sul debito possono avere sui bilanci nazionali. Quelle italiane, secondo prime stime, ammontano intorno ai 15 miliardi di euro. Una zavorra che rischia di abbattersi sulle prossime finanziarie e di portare l’Italia fuori dal Patto di stabilità. Per una quadra servirà tempo. E il sì di tutti i Paesi membri. Compreso il filorusso Viktor Orban che continua a puntare i piedi. Si medita di cambiare le regole, passare al voto a maggioranza qualificata per approvare il piano sugli asset russi. Ma c’è un intoppo: per farlo serve un altro voto unanime. Paradossi europei che non svaniscono nella due giorni di Copenaghen.
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