Non sono più soltanto gli infortuni fisici o le malattie legate all’esposizione a sostanze chimiche a minacciare il benessere dei lavoratori, ma una piaga invisibile e crescente: le malattie psichiche correlate allo stress lavoro-correlato.

I dati recenti, diffusi il 23 settembre 2025 dall’Inail e dai sistemi di sorveglianza come MalProf e Marel , non solo confermano l’entità di questo fenomeno, ma richiedono un urgente ripensamento delle politiche di prevenzione. I ritmi incessanti della modernità, la pressione competitiva e la trasformazione continua dei modelli organizzativi stanno plasmando un nuovo, insidioso panorama della salute sul lavoro. 

Quante sono le persone che si ammalano per il troppo stress a lavoro

Secondo i dati pubblicati, l’Inail nel quinquennio 2019-2023 ha ricevuto 2.047 denunce per malattie psichiche (codici ICD-10 F00-F99). Un numero di per sé significativo, ma che impallidisce di fronte al tasso di riconoscimento: solo il 7,3% dei casi è stato infatti accettato.

Per capire quanto sia basso questo valore, basta confrontarlo con le altre malattie. In particolare, per le patologie fisiche comuni (come i problemi alla schiena o all’udito), il tasso di riconoscimento è del 47,1%. In pratica, solo 7 denunce su 100 per stress o problemi mentali legati al lavoro vengono accettate, contro quasi 50 su 100 per le malattie fisiche. Quindi, c’è un enorme divario tra il numero di persone che denunciano il problema e quelle che ottengono un aiuto concreto.

Questo scarto evidenzia il paradosso centrale del problema: le malattie psichiche da stress lavoro-correlato rientrano tra le patologie professionali non tabellate, la cui origine lavorativa deve essere dimostrata dal lavoratore. La rigidità dei criteri diagnostici e la difficoltà oggettiva nel separare i fattori scatenanti professionali da quelli personali rendono l’onere della prova una montagna quasi insormontabile. Il risultato è che una vasta porzione di sofferenza legata a disturbi dell’adattamento, disturbo acuto da stress o disturbo post-traumatico da stress resta non riconosciuta, lasciando i lavoratori soli ad affrontare le conseguenze.

I settori più colpiti

Non tutti i lavoratori, inoltre, si ammalano allo stesso modo. E a offrire una prospettiva più chiara, sebbene non esaustiva, intervengono i sistemi di sorveglianza attivi. Secondo il sistema MalProf, che registra le malattie professionali classificandole per settore e professione, i comparti più colpiti sono l’assistenza sanitaria (11,8%), il commercio al dettaglio (9,8%) e la pubblica amministrazione (6,3%).

Chi si ammala di più per lo stress a lavoro sono quindi medici, infermieri, portantini, commessi e impiegati amministrativi.

Tra le 782 segnalazioni di malattie psichiche registrate dal sistema, inoltre, è risultato che i disturbi dell’adattamento sono i più diffusi (60,4%), mentre il disturbo traumatico da stress presenta il più alto tasso di correlazione (72,5%).

Non è un caso che il picco di riconoscimenti Inail ci sia stato proprio tra il 2020 e il 2021. Gli anni della pandemia hanno agito da catalizzatore, evidenziando in modo drammatico l’impatto del Covid-19 sulla salute mentale, in particolare per gli operatori sanitari. Questi professionisti, già esposti a turni massacranti, responsabilità gravose e contatto quotidiano con il dolore e la morte, hanno visto aggravarsi esponenzialmente i fattori di rischio psicosociale. Il loro ruolo di “eroi” in emergenza si è presto trasformato in una prolungata esposizione al burnout e allo stress traumatico.

Perché ci si ammala a lavoro?

Il rischio di ammalarsi a lavoro non si limita ai settori ad alta tensione emotiva. Il sistema Marel, raccogliendo dati puntuali sull’esposizione, conferma che i principali fattori di rischio sono legati ai rapporti interpersonali e al ruolo nell’ambito dell’organizzazione. In sostanza, il problema non è solo la quantità di lavoro, ma la sua qualità, l’ambiente, le dinamiche relazionali e la percezione di controllo sul proprio compito.

Un capitolo a parte merita il ruolo di molestie e violenze sul lavoro, come mobbing e bossing, che i dati Inail identificano come possibili precursori di gravi patologie psichiatriche. Questi comportamenti distruttivi rappresentano la manifestazione più tossica e concentrata di uno stress interpersonale che può spezzare l’equilibrio mentale del lavoratore.