Intervista a Matteo Renzi per «La Stampa» del 01-10-2025
di Niccolò Carratelli
Matteo Renzi ha appena finito di parlare al telefono con Tony Blair: «Ha il grande merito di aver tracciato una strada nuova per Gaza, di aver offerto una prima grande occasione per una tregua», dice il leader di Italia Viva. L’iniziativa dell’ex premier britannico, tradotta nel piano presentato da Donald Trump, dimostra che «la politica e la diplomazia non si fanno in barca a vela».
Ce l’ha con la Flotilla, non crede che sia un’azione di sensibilizzazione con un grande valore simbolico?
«Ben venga un elemento di passione civile, non intendo denigrare i partecipanti. Anzi, li invito ad andare anche in Ucraina, in Nigeria o in Sudan. Ma io sono un parlamentare, non un attivista di una Ong. Noi politici siamo pagati per trovare soluzioni, non per esprimere indignazione. Per aiutare i bambini di Gaza serve il piano Trump-Blair, non le regate».
Le barche sono quasi arrivate alla linea rossa, sempre più vicine alle coste di Gaza, devono fermarsi?
«Sì. Quando il presidente Mattarella dice “fermatevi”, ci si ferma. Andare avanti non aiuta i gazawi, ma mette solo a rischio chi è a bordo».
Intanto, però, Netanyahu continua a dire che non permetterà mai la nascita dello Stato di Palestina. Quindi, non se ne fa niente?
«Netanyahu prova a rassicurare l’assurda destra estremista in Israele. Ma se il piano proposto da Trump viene accettato da Hamas, anche Israele sarà costretto a rispettare gli accordi: riconoscimento della Palestina, stop alle colonie in Cisgiordania, fine dell’occupazione di Gaza. E ovviamente liberazione degli ostaggi».
Però Hamas non ha ancora accettato.
«Stiamo sottovalutando un aspetto logistico. I rappresentanti di Hamas sono nascosti perché rischiano di essere uccisi dagli israeliani, non è facile trovarli nemmeno per i mediatori turchi e qatarini. Ci vorrà qualche giorno, dovranno consultarsi, ma una risposta arriverà».
Perché è così convinto che, dopo tanti fallimenti, stavolta possa funzionare?
«Siamo al bivio: ora o mai più. E stavolta il piano tiene dentro gli arabi. Il loro coinvolgimento è essenziale e ricordo bene quando io in Parlamento ho sottolineato il ruolo della Lega araba e dei sauditi. Sono stato oggetto di ironie da parte dei colleghi e anche della premier Meloni. Il tempo è galantuomo: alla fine si dà ragione a Blair e Ryad, tutto si tiene».
In Parlamento si riuscirà a convergere tutti a sostegno di questo piano, come auspica anche il governo?
«Se Hamas dice no, scorrerà ancora troppo sangue. Speriamo che tutti comprendano l’importanza di sostenere questo piano. Non mi appassionano le tecnicalità parlamentari o il gioco delle mozioni incrociate. La domanda è: ha ragione Tony Blair, sì o no? Per me sì, poi ognuno si faccia la mozione che vuole».
Se la maggioranza presenta una mozione che ricalca il piano Trump-Blair voi la votate?
«Fino ad oggi il governo italiano non ha avanzato una sola proposta per Gaza. E l’Europa dorme. Se oggi appoggiano Blair, certo che li sosteniamo! Ma la domanda è: la Farnesina che fa? Un tempo l’Italia faceva scuola con la politica estera, oggi abbiamo Tajani che sembra più capace quando balla alla festa di Forza Italia che quando va all’Onu».
Però il centrodestra sembra in salute dopo tre anni di governo: Meloni ha vinto nelle Marche, anche meglio di quanto ci si aspettasse.
«Non è che se vincono le Marche sono forti e se perdono in Toscana sono finiti. Eviterei di drammatizzare. Il centrosinistra deve riflettere. Avevamo candidato un ex sindaco bravo e concreto come Ricci, ma nelle ultime settimane anziché parlare di dazi e liste d’attesa abbiamo discusso solo di Flottilla e Palestina. Forse potevamo concentrarci sui problemi di Macerata e Senigallia che non su Ramallah».
Dunque, campagna elettorale sbagliata?
«Capita. Parlando di Palestina pensavano di portare a votare più gente e invece hanno portato a votare gli altri. Le Marche sono una terra di gente che lavora, che fa impresa, che si mette in gioco: è più utile discutere della crisi dell’export o della pressione fiscale che non delle barche a vela».
Però, come centristi, non è che avete dato questa gran mano…
«Nelle Marche eravamo divisi: i candidati riformisti erano in tre liste diverse, che hanno fatto il 10%: ci fossimo messi insieme sarebbe stato meglio. Comunque, abbiamo eletto un consigliere regionale con la lista Marche Vive, perché ci hanno impedito di presentare Italia Viva. Prima togliamo i veti, meglio è. Casa Riformista farà il debutto in Calabria e faremo almeno il 5%, in Toscana e Campania sfioreremo la doppia cifra».
Ma con chi la costruisce questa casa?
«Per metà con i partiti e per metà con amministratori locali e società civile. Nel weekend saremo con 800 giovani alla Leopolda a Firenze, con Silvia Salis, Beppe Sala, Gaetano Manfredi e tanti altri. Lanceremo contenuti sulle tasse, la sicurezza, i valori».
Ma le chiavi di casa le tiene lei o le affida a uno di quelli che ha nominato?
«Il mio ruolo in questa fase è costruire un contenitore che impedisca la vittoria della Meloni e il suo approdo al Quirinale per prendersi i pieni poteri. Prima diamo forma alla casa riformista, poi parleremo dei nomi per rappresentarla. Io penso solo a costruire, non a guidare».