I segnali erano già visibili da mesi. Ma i numeri diffusi dall’Istat per agosto ora lo confermano: il mercato del lavoro italiano si è fermato. Ad agosto, si contano 57mila occupati in meno rispetto al mese precedente. E come ormai accade da tempo, gli unici a crescere sono i lavoratori senior con più di cinquant’anni, che restano al lavoro più a lungo per effetto dell’aumento dell’età pensionabile o che continuano anche a lavorare dopo la pensione. E mentre crollano i contratti sia a tempo indeterminato sia a termine, aumentano invece (seppur di poco) solo gli autonomi.
Ad agosto, tra gli over 50 si contano 69mila occupati in più. Nelle altre fasce d’età, invece, c’è solo il segno meno: -49mila occupati per gli under 25, meno 45mila tra 25 e 34 anni, meno 32mila tra 35 e 49 anni. Si resta al lavoro più a lungo per effetto della riforma Fornero, ma anche perché le aziende faticano a sostituire le competenze. Chi prima era già in pensione, oggi lavora ancora o continua a lavorare pur percependo l’assegno pensionistico. Gran parte della crescita degli occupati, quindi, non nasce da nuove assunzioni.
E i numeri lo dimostrano. In effetti, anche se non consideriamo la variabile demografica, e cioè il calo numerico dei giovani italiani, è evidente comunque che il mercato si muove solo perché trainato dagli over 50. In un anno, i senior guadagnano il 3,4 per cento di occupati, mentre gli under 35 perdono il 3,4 per cento.
La diminuzione degli occupati di agosto coinvolge gli uomini (-46mila) più delle donne (-11mila). Ma la cosa preoccupante è anche il travaso netto dalla perdita del posto di lavoro alla condizione di inattività di chi un lavoro non ce l’ha e non lo cerca. Su 57mila occupati in meno, gli inattivi ad agosto sono sessantamila in più. Concentrati soprattutto tra i più giovani: in un solo mese, tra gli under 35 si contano ben centomila inattivi in più.
Il tasso di occupazione cala al 62,2 per cento. Il tasso di disoccupazione è stabile al 6 per cento. Ma quello di inattività sale al 33,3 per cento, il peggiore d’Europa.
Quanto ai contratti, continua l’emorragia dei dipendenti. Ad agosto i contratti a tempo indeterminato sono 26mila in meno, quelli a termine 39mila in meno. Aumentano solo gli autonomi, che sono ottomila in più.
Come in tutte le crisi, anche stavolta, tra dazi, frenata dell’export e tensioni internazionali, a pagare potrebbero essere i contratti a termine non rinnovati. Con una polarizzazione del mercato del lavoro, come dimostrano gli ultimi dati Inps sui flussi di lavoro. Da una parte infatti crescono le trasformazioni a tempo indeterminato, a prova del fatto che le imprese vogliono trattenere i lavoratori in un momento di scarsità. Dall’altra si registra invece il boom delle attivazioni stagionali (209mila solo a giugno), che potrebbe spiegare la caduta a picco dei contratti a termine.
In un anno, su 103mila occupati in più, si contano 208mila contratti a tempo indeterminato in più e 139mila autonomi in più, a fronte di 245mila contratti a termine in meno.
La crescita dell’occupazione ha rallentato ormai da mesi. E l’Istat ha appena rivisto al ribasso i numeri dell’ultimo trimestre, rivendicati da più parti dal governo Meloni.
Come ogni primo mese del trimestre, l’istituto di statistica ha infatti ricalcolato la serie destagionalizzata e gli occupati a luglio sono risultati in totale 24 milioni 217mila, 120mila in meno rispetto alle stime precedenti. Una correzione corposa, che mostra come la crescita dell’occupazione si sia dimezzata rispetto al rimbalzo post pandemico. E ad agosto, ora, il livello è sceso ancora a 24 milioni 170mila occupati. Allineandosi quindi anche con la crescita anemica del Pil, che secondo Confindustria quest’anno aumenterà appena dello 0,5 per cento.