Una manifestazione, in piazza San Giovanni a Roma, nel 2011. Una manifestazione degli “indignados”, il movimento che raccoglieva in tutto il mondo giovani contro, contro le politiche dei governi, contro le multinazionali, contro la polizia. La manifestazione diviene violenta. Uno di quei ragazzi, Giacomo Spinelli, diciannovenne, tira un palo di legno contro una camionetta della polizia. Mesi dopo la Digos verrà a prenderlo a casa. Ne seguirà un processo infinito, durato undici anni, undici anni nel corso dei quali quel ragazzo non potrà sapere quale sia il suo destino. Verrà poi condannato a sei anni e mezzo di carcere, per tentato omicidio. Ma quel momento, paradossalmente, sarà quasi una liberazione per lui. Che si costituisce nel carcere di Bollate, dove studierà, prendendo una seconda laurea.

Adesso quel ragazzo è ai domiciliari, a Roma. Suo fratello, Lorenzo Spinelli, una laurea in Antropologia e un diploma al Centro sperimentale di cinematografia, ha scritto sulla sua storia un documentario, che ha vinto ieri il premio Solinas documentari. Il premio Solinas è il più importante riconoscimento italiano dedicato alla scrittura cinematografica. Il documentario – per adesso sulla carta – si chiama “Il tempo sospeso”. E non racconta solo la storia di suo fratello, ma anche quella di suo padre e di suo nonno. Tutti finiti in carcere, tutti a diciannove anni. Tutti protagonisti di episodi di resistenza al potere.

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Di che cosa parla “Il tempo sospeso”?

“Prima di tutto è la storia di mio fratello, che a distanza di 15 anni decide di ritornare a parlare di un gesto violento che ha commesso durante una manifestazione, e che lo ha lasciato in sospeso a causa di un processo durato undici anni. Insieme a lui, stiamo cercando di raccontare la sua storia e un po’ anche la storia della sua generazione”.

Tuo fratello quanti anni ha?

“Adesso ha trentatré anni. Partecipò a una manifestazione degli indignados, un movimento che aveva attraversato tutto il pianeta, dalla Spagna a Occupy Wall Street all’Italia. Quella di Roma fu l’ultima grande manifestazione del movimento”.

Fu una manifestazione violenta.

“Sì. In migliaia parteciparono, con scontri molto violenti. Mio fratello fu filmato dalle telecamere della Digos mentre lanciava un palo di legno contro una camionetta dei carabinieri”.

Mesi dopo, arrivarono ad arrestarlo.

“Sì. E il processo che ne è seguito è stato molto lungo, e lui per tanti anni non ha potuto prendere delle decisioni rispetto alla propria vita. Ha vissuto con una spada di Damocle sopra la sua testa, e la mia famiglia insieme a lui. Da qui il titolo del documentario, ‘Il tempo sospeso’”.

Come mai il processo è stato così lungo?

“Sono i tempi dei fascicoli della burocrazia italiana, che se da un lato servono per stabilire con certezza la colpevolezza o meno di un individuo, dall’altra determinano un non-tempo, quello della sospensione del giudizio”.

Tuo fratello andava ancora a scuola.

“Sì. Venne arrestato ad aprile 2012. Gli venne data la possibilità di continuare la scuola, poi è stato ai domiciliari, poi gli sono stati tolti. È stato un uomo libero fino alla condanna, nel 2022. Lui è stato condannato insieme ad altre 14 persone, ed è quello che ha avuto la pena più alta di tutti”.

Per che cosa esattamente è stato condannato?

“Tentato omicidio, devastazione e saccheggio. Qualcuno, durante la manifestazione, aprì il portellone della camionetta dei carabinieri, e mio fratello senza neanche guardare tirò il palo di legno all’interno. Il carabiniere che era all’interno dice che in quel momento pensò di morire. E io devo dire che le immagini filmate dall’elicottero della polizia sono molto violente. Quei filmati faranno parte del documentario”.

Tuo fratello ha riflettuto su quello che ha fatto?

“Certo. Non rifarebbe una cosa del genere. È un gesto di tre secondi che gli ha cambiato la vita, per sempre”.

Faceva parte di qualche gruppo politico giovanile?

“No, era lì come singolo. È una manifestazione, quella, in cui in tanti si lasciarono trascinare”.

La condanna, in qualche modo, sembra essere stata una liberazione.

“Sì, in qualche modo sì. Per mio fratello era importante conoscere il proprio futuro, che poteva essere il carcere o la libertà. È stato il carcere, ma è stato peggio prima, per lui”.

È andato a costituirsi nel carcere di Bollate.

“È andato subito lì, perché è probabilmente il carcere migliore d’Italia. Dopo poco ha avuto la possibilità di studiare, di iscriversi all’università. Si è laureato per la seconda volta in carcere, in Storia. E ha cominciato a lavorare su nostro nonno, Veniero Spinelli”.

Veniero Spinelli non era parente di Altiero Spinelli, il padre del manifesto di Ventotene, il documento fondatore dell’Europa unita?

“Era il fratello. Un antifascista da subito, che fu arrestato a diciannove anni – come mio padre Italo Spinelli, come mio fratello Giacomo”.

Tuo padre perché finì in carcere a 19 anni?

“Era il 1970: fecero una specie di ‘processo’ a un insegnante di destra della scuola, un po’ sull’onda della Rivoluzione culturale di Mao Tse Tung. Il giorno dopo fu arrestato per sequestro di persona”.

Tutti arrestati alla stessa età. Tuo nonno quando fu arrestato?

“Nel 1920. Mio nonno poi è fuggito in Francia, ha combattuto in Spagna contro i fascisti di Franco, è emigrato in America, è tornato in Italia con gli Alleati. Mio fratello sta scrivendo un libro su di lui”.

Alla fine qual è il tema del film?

“Una linea maschile di violenze e di galere, che attraversa tre generazioni. Una storia che riflette sulla rabbia che hai a vent’anni, una rabbia che ha a che fare anche con la società in cui viviamo”.

Come vorresti strutturare il documentario?

“Vorrei raccontare le rabbie, le frustrazioni, le paure di quel momento, delle rivolte giovanili del 2011. E vorrei raccontare la storia di mio nonno, attraverso il lavoro che mio fratello sta scrivendo. Un romanzo storico su Veniero Spinelli”.

Oggi tuo fratello è ai domiciliari?

“Sì: ha dei momenti durante il giorno in cui può uscire, e la sera deve sempre rientrare a casa. Ancora per un anno e mezzo. Ha scontato due anni e mezzo a Bollate, un anno e qualche mese di domiciliari. E lo attende un altro anno e mezzo di domiciliari”.

È un ragazzo tranquillo?

“Sì. Quello è l’unico atto violento che ha compiuto nella vita”.