PADOVA – Rivoluzione sessuale (e affettiva) al Due Palazzi: le stanze dell’amore del carcere di Padova sono pronte. Letto, lavandino e lenzuola sono già disponibili in una camera vicino ai locali dei colloqui, in attesa della prima coppia. Da lunedì 6 ottobre i detenuti del carcere di Padova avranno diritto ad un po’ d’intimità con le loro mogli o conviventi, con cui potranno passare due ore e mezza in assoluta riservatezza e libertà. 
Tutto avverrà quindi nel rispetto della privacy, lontano dagli occhi della sorveglianza della polizia penitenziaria. 

APPROFONDIMENTI













LA SENTENZA

Dell’ipotesi si era parlato già all’inizio dello scorso anno, quando le diverse associazioni padovane di volontari che lavorano con i reclusi avevano lanciato la proposta, alla luce di una sentenza della Corte Costituzionale. Un diritto da sempre negato, che adesso Padova concederà da lunedì prossimo, rifacendosi alla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il divieto all’affettività e alla sessualità in carcere. Una decisione che ha di fatto bocciato la parte della legge 26 del luglio 1975 con cui si vietano ai detenuti colloqui con il coniuge (ma anche parte dell’unione civile o la persona con cui vive stabilmente) senza il controllo a vista del personale di custodia. Per i reclusi si tratta quindi di una vera e propria conquista. 

DIRITTI

Oltre alla restrizione della libertà individuale, da sempre chi non ha diritto ai permessi premio deve rinunciare a quella sessuale. E, al di là del piacere, anche alla possibilità di avere dei figli. E questa la Consulta l’ha considerata una vera e propria violenza fisica e morale sulla persona. Per la Corte Costituzionale si può quindi ipotizzare che le visite a tutela dell’affettività «si svolgano in unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti, organizzate per consentire la preparazione e la consumazione di pasti e riprodurre, per quanto possibile, un ambiente di tipo domestico» – si legge –. È comunque necessario che sia assicurata la riservatezza del locale di svolgimento dell’incontro, il quale, per consentire una piena manifestazione dell’affettività, deve essere sottratto non solo all’osservazione interna da parte del personale di custodia (che dunque vigilerà solo all’esterno, ndr), ma anche allo sguardo degli altri detenuti. 

Da quel momento, quindi, a Padova si sono mosse le associazioni, soprattutto “Ristretti Orizzonti” di Ornella Favero, per avviare da subito una sperimentazione. Sperimentazione a cui si era opposto il sottosegretario alla Giustizia, il leghista padovano Andrea Ostellari, ritenendo di dover prima regolamentare l’eventuale applicazione della sentenza. Cosa che nel frattempo è avvenuta. 

IL MINISTERO

Il ministero della Giustizia ha infatti steso le norme, di cui ora i direttori dei penitenziari potranno liberamente servirsi. Ed è quello che ha già fatto la neodirettrice Maria Gabriella Lusi dopo la richiesta arrivata nelle scorse settimane da parte di tre detenuti nel carcere di Padova. 
Attraverso i loro legali si sono rivolti al magistrato di sorveglianza, che ha quindi prodotto una ingiunzione nei confronti della direttrice, con la richiesta di applicare la sentenza della Corte Costituzionale. 

POLIZIA PENITENZIARIA

A quel punto Lusi ha concesso la possibilità di sperimentare per quattro mesi la cosiddetta “affettività in carcere”, facendo predisporre una stanza vicina all’area dei colloqui, con tre turni da due ore e mezza l’uno (8. 30, 11 e 13. 30). 
La decisione preoccupa però i sindacati della polizia penitenziaria. Venendo meno la sorveglianza, infatti, secondo loro ci sarebbero dei rischi per l’incolumità delle persone che sarebbe difficile da garantire all’interno di una stanza chiusa. E non solo: lamentano anche il fatto che gli ospiti potrebbero introdurre più facilmente in carcere droga, telefoni, messaggi dall’esterno o addirittura armi. Ovviamente non tutti i detenuti avranno diritto all’intimità. L’ultima parola spetterà sempre al magistrato di sorveglianza, che volta per volta dovrà giudicare le richieste, gli eventuali rischi e la condotta del recluso. Difficile, se non impossibile, che sia concessa ad un femminicida. 
«Omnia vincit amor», alla fine l’amore vince sempre, diceva Virgilio.