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Giovedì sera il Consiglio dei ministri ha approvato il Documento programmatico di finanza pubblica (DPFP), il primo di una serie di provvedimenti che entro la fine dell’anno porteranno all’approvazione della legge di bilancio, cioè quella legge che indica come varieranno la spesa e le entrate dello Stato nel 2026. Contiene le prime indicazioni su come sarà questa legge di bilancio, il suo impatto sul debito pubblico, sul Prodotto Interno Lordo, e anche qualcosa sulle misure che conterrà.
I dettagli sono ancora pochi, e il documento non è stato pubblicato. Quello che si sa con certezza dal comunicato del governo è che l’Italia riuscirà a centrare con anticipo alcuni obiettivi importanti sull’indebitamento dello Stato, e a rientrare nelle regole europee sui conti pubblici. Sulle misure che conterrà la prossima legge di bilancio bisogna ancora affidarsi alle indiscrezioni, fino alla pubblicazione del documento integrale: dovrebbero esserci una riduzione delle imposte sul reddito, misure per la riduzione del costo dell’energia, e contributi per le giovani coppie che vogliono comprare casa. Ma andiamo con ordine.
Se non avete mai sentito parlare del Documento Programmatico di Finanza Pubblica è normale. Non esisteva finora, e sostituisce la NADEF, la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza che fino all’anno scorso usciva entro la fine di settembre e che allo stesso modo conteneva le prime indicazioni su come il governo aveva intenzione di impostare la legge di bilancio.
A differenza della NADEF il DPFP, secondo le regole europee, dovrebbe contenere in più quali misure il governo vorrà introdurre, seppure molto a grandi linee: saranno poi dettagliate nelle prossime settimane con il disegno di legge di bilancio vero e proprio.
In attesa del documento, si può già dire che sarà una legge di bilancio abbastanza modesta. Come ha ricordato più volte il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nelle scorse settimane la situazione internazionale è molto incerta, e quei minimi margini di spesa che ci si era guadagnati andranno usati per compensare i danni causati dai dazi di Trump, e per le spese militari.
La misura principale che il governo dovrebbe prevedere sarà una nuova riduzione dell’IRPEF, cioè dell’imposta sui redditi: si dovrebbe ridurre dal 35 al 33 per cento l’aliquota del secondo scaglione, cioè la tassazione applicata per la parte di redditi tra i 28 e i 50mila euro annui (ma il governo non ha nascosto la volontà di tentare di arrivare a 60mila euro, vedremo). La misura dovrebbe costare intorno ai 4 miliardi l’anno, e continuerebbe un percorso di generale riduzione di questa imposta già avviato negli scorsi anni dall’attuale governo.
La restante parte delle risorse dovrebbe essere concentrata soprattutto su due provvedimenti. Il primo è una misura per la riduzione del prezzo dell’energia, che in Italia è tra i più alti d’Europa e che rappresenta un grosso problema per la competitività delle imprese. Il secondo dovrebbe riguardare alcuni incentivi per le giovani coppie che vogliono comprare casa, dopo che lo stesso governo di Giorgia Meloni aveva interrotto lo scorso anno alcune importanti agevolazioni per chi comprava casa prima dei 36 anni.
Oltre a cosa prevederà la legge di bilancio – i cui i dettagli, lo ribadiamo, arriveranno – il DPFP contiene i cosiddetti saldi di finanza pubblica, in sostanza le previsioni su quanto il governo crede che crescerà l’economia nel 2025, quanto incasserà con le tasse, quanto spenderà, quanti soldi prenderà a prestito e come andrà il debito pubblico. Sono numeri importanti, che ci dicono su quante risorse il governo potrà effettivamente contare.
Il dato più rilevante è il cosiddetto rapporto tra deficit e PIL. Il deficit indica il cosiddetto disavanzo dello Stato, la differenza tra entrate e uscite: se un paese spende più di quanto incassa con le tasse, deve far ricorso per forza all’indebitamento, e questa cifra contribuisce ad aumentare il debito pubblico già esistente. Viene messo in rapporto al PIL, cioè alla dimensione dell’economia, ed è un parametro molto importante per un paese con un alto debito come l’Italia: le regole europee prevedono che non possa essere sopra al 3 per cento.
Negli scorsi anni l’Italia, sia per la pandemia che per la crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina, ha avuto un deficit sempre superiore a questa soglia. Fino al 2023 non era un problema, perché le regole europee erano sospese per la pandemia. Sono tornate in vigore lo scorso anno, momento dal quale l’Italia insieme ad altri paesi europei è stata messa sotto procedura per deficit eccessivo, una procedura europea che impone un percorso di rientro sotto la soglia consentita. Lo scorso anno il deficit era al 3,8 per cento, in calo rispetto al passato ma comunque fuori dalle regole.
Secondo il DPFP il deficit sarà proprio al 3 per cento, una cifra che non solo rispetta le regole europee ma che lo fa anche con un anno di anticipo rispetto a quanto il governo aveva preventivato. Nelle ultime previsioni ufficiali dello scorso autunno era indicato per il 2025 un deficit del 3,3 per cento, e del 2,8 nel 2026. Il governo ha confermato con il DPFP il valore del 2026, e ha indicato per gli anni successivi un ulteriore calo: al 2,6 nel 2027 e al 2,3 nel 2028.
Significa che per come stanno andando le cose non solo il governo avrà bisogno di prendere meno soldi in prestito, cosa positiva per il contenimento del debito, ma che potrà sperare di uscire dalla procedura per deficit eccessivo già il prossimo anno, prima del previsto: lo si saprà con certezza la prossima primavera, quando la Commissione Europea farà le periodiche valutazioni.
In ogni caso questo non solo dimostrerebbe la prudenza nella gestione dei conti pubblici che il governo rivendica costantemente, ma potrebbe anche portare la Commissione Europea a essere più indulgente sui conti dei prossimi anni, che sono proprio quelli in cui i partiti al governo potrebbero voler spendere un po’ di più per garantirsi del consenso alle elezioni politiche del 2027.
C’è da dire che questo risultato è stato raggiunto soprattutto grazie a un eccezionale aumento delle entrate fiscali, per quanto il governo rivendichi sempre di ridurre le tasse (cosa che effettivamente sulla carta ha in parte fatto): è una conseguenza perversa dell’inflazione degli ultimi anni e del conseguente aumento dei redditi innescato per compensare il maggiore costo della vita, che ha prodotto anche il risultato di far pagare ai lavoratori più imposte. Il governo ha così ottenuto un miglioramento dei conti, senza dover ridurre la spesa pubblica ma comunque a scapito dei contribuenti.
Il documento prevede poi un debito pubblico inferiore alle aspettative, e che inizierà un percorso di riduzione dal 2027. Il PIL dovrebbe crescere quest’anno dello 0,5 per cento, una previsione leggermente peggiore di quella di aprile, che già era largamente inferiore alle aspettative per via del difficile contesto internazionale.
Il governo ha anche parlato di spese militari, un tema su cui si è molto discusso negli scorsi mesi: dovrebbe aumentare la spesa dello 0,15 per cento del PIL nel 2026, all’incirca 3 miliardi, dello 0,3 nel 2027, e dello 0,5 nel 2028.
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