Approvata nel settembre 2023 con una maggioranza trasversale e celebrata come un primato mondiale, la Legge 130, che introduce lo screening su scala nazionale per diabete di tipo 1 e celiachia nei bambini e ragazzi tra 0 e 17 anni, sembrerebbe oggi ancora al palo. A distanza di oltre due anni, l’attuazione della norma rischia di incagliarsi in un limbo burocratico che ne compromette le potenzialità sanitarie, economiche e sociali.
A rilanciare l’allarme è Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera dei Deputati e primo firmatario della legge, intervenuto all’Urania Policy & Business Forum la settimana scorsa, che ha chiarito: «Il progetto pilota ha funzionato. Ora è tempo di passare alla fase nazionale. Le risorse ci sono, ma da mesi assistiamo a un rimpallo tra Garante della Privacy, Conferenza Stato-Regioni e Ministero della Salute».
Il riferimento è al progetto sperimentale coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, che ha già individuato centinaia di casi sommersi e predisposizioni genetiche nelle regioni coinvolte. Risultati che dimostrano il valore dello screening precoce non solo per migliorare gli esiti clinici, ma anche per ridurre i costi a lungo termine del Servizio Sanitario Nazionale, attraverso diagnosi tempestive e minore incidenza di complicanze.
La questione, tuttavia, si è spostata su un terreno tecnico e normativo: la protezione dei dati personali. Da parte sua, l’Autorità Garante per la Privacy, in risposta a Mulè, ha voluto chiarire di aver dato via libera allo schema di decreto attuativo già il 30 gennaio 2025, “in tempi rapidissimi, con parere favorevole e senza alcuna condizione”. Ma il quadro sembrerebbe in realtà più sfumato. Da fonti ministeriali emerge che, a fine luglio, il Garante avrebbe chiesto nuovi approfondimenti in seguito ad alcune modifiche apportate allo schema iniziale dalle Regioni. Cambiamenti che inciderebbero sul trattamento dei dati sensibili, richiedendo un ulteriore passaggio istruttorio. In altre parole, il parere favorevole del gennaio scorso potrebbe non essere più sufficiente alla luce degli aggiornamenti intervenuti. Così, quello che sulla carta doveva essere un iter fluido – supportato da evidenze scientifiche, risorse già stanziate e volontà politica – si è trasformato in un tragitto a ostacoli.
Il tempo, però, non è una variabile neutra. Ogni mese che passa senza l’avvio del programma nazionale di screening significa centinaia di casi non intercettati in tempo utile, con costi umani e sanitari difficili da quantificare. Eppure, il quadro regolatorio nazionale ed europeo offre già esempi concreti di come la tutela della privacy e la sanità pubblica possano convivere senza paralisi. La chiave è nella governance: strumenti digitali, consenso informato rafforzato e standard interoperabili possono garantire sia la sicurezza dei dati sia l’efficacia del monitoraggio.
Il nodo da sciogliere ora è politico, prima ancora che amministrativo. Tocca al Ministero della Salute fare sintesi tra le esigenze delle Regioni, i vincoli normativi e le urgenze del sistema sanitario. Se la legge 130 dovesse arenarsi, a farne le spese non sarebbe solo una misura di prevenzione: sarebbe l’intero ecosistema della sanità pubblica, che da anni cerca di evolversi verso un modello predittivo e personalizzato, fondato su prevenzione e digitalizzazione.
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Alessandro Caruso