È una storia di violenza, quella di Francesca De André, ma anche di rinascita, seppur lenta e difficile. Ed è tornata a raccontarla a Verissimo: il suo ex fidanzato è stato dichiarato colpevole anche in secondo grado, confermando la pena di 3 anni e 3 mesi. “Mi aspettavo di più”, ha commentato con disappunto ma anche con preoccupazione. Un sentimento che si estende a tutte le donne vittime di violenza domestica, per le quali a suo avviso non vi sono ancora abbastanza tutele.
Francesca De André, l’ex violento e la tutela per le donne
“Le possibilità non erano molteplici, la pena non poteva aumentare. Ma c’era la possibilità che venisse assolto”, ha detto Francesca De André a Silvia Toffanin. La sua intervista a Verissimo è stata toccante ma anche crudele, perché crudele in fondo è l’argomento che ne ha occupato gli ultimi anni di vita: una violenza iniziata tra le mura domestiche e continuata, poi, nelle aule di tribunale, dove non ha mai mollato il colpo, ricordando episodi che fa male rivivere, ogni volta come se fosse la prima.
L’ex compagno è stato condannato anche in secondo grado a una pena di 3 anni e 3 mesi, col pagamento delle spese legali. “Mi aspettavo di più”, ha detto. “Io so quello che ho subito, ma so anche quello che ho dimostrato in tribunale. Tre anni e tre mesi per una persona che commette un reato così grave, lasciare una persona a piede libero, che continua ad avere la libertà di vivere la sua vita, mentre io devo combattere a livello legale, a livello psicologico con me stessa. Mi fa rabbia che non c’è equilibrio nel giudicare questo genere di reati”, ha continuato con la voce spezzata dal dolore.
Parlando delle donne che come lei hanno subito violenza: “Io capisco perché hanno paura, ci deve essere più tutela per queste donne”. “Se noi continuiamo a mandare dei messaggi in cui spingiamo le donne a denunciare, nel momento in cui non c’è una tutela (…), se la persona è libera una donna può aver solo che paura, perché all’interno delle quattro mura può essere maltrattata, ma nel momento in cui va a denunciare se questa persona rimane libera può avvenire la tragedia“, ha continuato.
Gli episodi nel suo caso sono stati molteplici, al limite del pensabile. Candeggina addosso, percosse, picchiata con ombrelli rotti. Le cicatrici che si porta addosso Francesca De André non sono soltanto esterne.
E ci sono anche l’incredulità e un certo senso di colpa per non aver visto prima: “Lo stesso giorno che mi hanno portato in ospedale in codice rosso, io non volevo. Io non vedevo. Gli occhi li ho aperti dopo: ‘Cosa ho permesso? Chi sono? Cosa sto facendo? (…) Io andavo a fare l’opinionista e dispensavo consigli, mentre lo vivevo in casa e non me ne accorgevo neanche. Lo perdonavo“.
L’infanzia difficile e il rapporto con la famiglia
Francesca De André ha conosciuto il dolore già da piccola, quando è stata affidata al Comune di Milano ed è finita in orfanotrofio. Perché le violenze non sono solo fisiche e, in un’età delicata come quella, le parole possono pesare molto più di quanto si possa immaginare.
“Io in orfanotrofio non ci volevo stare. Avevo una tutrice che non auguro neanche al mio peggior nemico (…). Bisogna stare attenti a chi facciamo lavorare con questi ragazzi minorenni, le persone come lei sono pericolose. Lei mi guardava in faccia e mi diceva che non avevo più una famiglia. Era sadica, rideva mentre mi diceva queste cose”, ha raccontato.
Adesso Francesca è sola, i contatti con la madre e il fratello sono ridotti ai minimi termini e non c’è un compagno nella sua vita. “Ho una vita dove devo combattere tanto”, ha ammesso. Ma vive anche nella speranza che un giorno tutto questo dolore avrà un senso: “Penso sempre che mio nonno lassù abbia un piano per me”.