Venezi alla Fenice rischia di costar caro. Mentre a Roma si ridacchia, a Venezia si svuotano le poltrone. Sono già 124 gli abbonati pronti a stracciare il loro abbonamento. Tanti sono i firmatari della Lettera aperta degli abbonati al Sovrintendente e al Consiglio di indirizzo della Fondazione Teatro La Fenice, ad oggi, 4 ottobre. In pochi giorni, dunque, la protesta silenziosa è diventata un segnale concreto e rumoroso.
La lettera è indirizzata al presidente Luigi Brugnaro e ai consiglieri Maurizio Jacobi, Agnese Lunardelli e Alessandro Tortato. Un elenco che, messo nero su bianco, dice già tutto: gli abbonati non parlano al vento, ma a chi quella nomina l’ha avallata o non l’ha fermata.
Tono sobrio, ma inequivocabile: “Con stupore e preoccupazione abbiamo appreso la nomina di Venezi, un ruolo che richiede competenza ed esperienza. Esprimiamo solidarietà ai lavoratori e dichiariamo fin d’ora la nostra intenzione di non rinnovare l’abbonamento qualora l’incarico diventasse esecutivo”. Va per altro ricordato che il contratto di Venezi partirebbe a ottobre 2026, dunque senza un passo indietro sulla nomina le disdette potrebbero aumentare di mese in mese.
La lettera risponde indirettamente anche a chi voleva sminuire le conseguenze dell’imposizione. Federico Mollicone — deputato di Fratelli d’Italia e presidente della Commissione Cultura della Camera — pochi giorni fa aveva tentato di sminuire il rischio delle disdette con una battuta: “Solo tre abbonamenti su 2.300 sono stati disdetti per protesta”. Una cifra che oggi suona come una caricatura, ma di Mollicone. Perché 124 su 2.300 significa oltre il 5% del pubblico. Un’emorragia vera, non una bufala.
La notizia avrà ricaschi sulla politica. Dopo le ammissioni del sindaco sulle “pressioni da Roma” ricevute dal sovrintendente, l’operazione Venezi appare sempre più come una nomina imposta dall’alto, e sempre meno come una scelta artistica per altro ormai apertamente contestata da fior di direttori d’orchestra ed esperti musicali sul fronte per nulla politico delle competenze musicali, dell’esperienza e del talento che si vorrebbero “far crescere” ma a spese della reputazione della Fenice. Cosi i lavoratori resistono, gli abbonati storici si ritirano. E la Fenice si ritrova intrappolata tra il fasto della propaganda che l’ha presa per una vetrina di partito e la realtà dei numeri.
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