Ogni anno a settembre va in scena il solito copione: il Ministro della Salute annuncia pressioni sul Mef per strappare qualche miliardo in più e dare ossigeno a un fondo sanitario sempre più asfittico, alimentando le speranze di tutti gli attori del pianeta sanità e dei cittadini.

Ma puntualmente, le roboanti cifre annunciate vengono ridimensionate, perché la sanità pubblica continua a rimanere ai margini dell’agenda di tutti i governi. Compressa tra i vincoli di bilancio e un’inerzia politica motivata per decenni da una granitica certezza: l’Italia vanta un’aspettativa di vita tra le più alte del mondo, a fronte di una spesa pubblica “sobria”. Certezza che oggi si è sgretolata sotto il peso di dati allarmanti.

Viviamo più a lungo, ma invecchiamo sempre peggio: si riducono gli anni in buona salute, soprattutto per le donne, con enorme impatto sulla spesa sanitaria e sociale, oltre che sulle famiglie. La tanto decantata “sobrietà” della nostra spesa è stata mantenuta sacrificando il personale sanitario: professionisti qualificati sempre più in fuga dal Servizio sanitario nazionale (Ssn), giovani sempre meno attratti da alcune carriere, con l’inevitabile desertificazione di alcune professioni (es. infermieri) e specialità mediche (es. emergenza-urgenza). Ma soprattutto, dati, narrative e sondaggi confermano che il fiore all’occhiello del Paese, il Ssn, sia ormai avvizzito e che oggi la vera emergenza del Paese è la tutela della salute secondo quei principi di universalità, uguaglianza ed equità che tutto il mondo ci ha sempre invidiato.

È il fallimento totale del sistema di tutela della salute: l’assenza di una visione politica, oltre 15 anni di definanziamento e il mancato avvio di riforme per ammodernare il Ssn stanno trasformando un diritto universale in un privilegio per pochi. Eppure, sul delicato equilibrio tra diritti da garantire e risorse da allocare, anche la Corte Costituzionale ha cambiato radicalmente posizione: dal principio di “diritto finanziariamente condizionato” a quello di “spesa costituzionalmente necessaria”. Che impone allo Stato il dovere di garantire il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza per l’effettivo esercizio del diritto alla tutela della salute.

Ma qual è oggi il quadro reale del finanziamento pubblico del Ssn e della spesa sanitaria? Quali sono i dati e dove inizia la propaganda? Quali sono i rischi per le Regioni e per i cittadini?

• Dal 2022 al 2025 il fondo sanitario sale di 11,1 miliardi di euro: da 125,4 a 136,5 miliardi. Ma la quota di Pil destinata alla sanità scende dal 6,3% del 2022 al 6,1% del 2024-2025. Senza questo “taglio”, oggi il fondo sanitario potrebbe contare su 13,3 miliardi in più.

• Nel 2024 la spesa sanitaria pubblica è stata il 6,3% del Pil: sotto le medie Ocse (7,1%) e Ue (6,9%). Per spesa pro-capite l’Italia è 14a su 27 Paesi europei, con un divario di 43 miliardi rispetto alla media Ue. Nel G7 siamo ultimi, distanti anni luce da Germania e Francia.

• Il Documento di Finanza Pubblica 2025 ha “cristallizzato” la previsione di spesa sanitaria al 6,4% del Pil fino al 2028. Ma la Legge di Bilancio 2025 ha assegnato il 6,1% del Pil nel 2025-2026, il 5,9% nel 2027 e il 5,8% nel 2028. Tradotto: oggi mancano 9,1 miliardi di euro nel 2026, 10,2 nel 2027 e 13,3 nel 2028. Poiché le Regioni non avranno le risorse per coprire questi “buchi”, saranno costrette a due scelte impopolari: aumentare le tasse o tagliare i servizi. In entrambi i casi, a pagare il conto saranno i cittadini.

Ma dietro questi freddi numeri ci sono sofferenze, disagi e attese interminabili. Quasi 60 milioni di persone devono fare i conti con liste d’attesa fuori controllo, pronto soccorso al collasso, carenza di medici di famiglia, disuguaglianze territoriali e sociali sempre più profonde. E con la necessità di pagare di tasca propria visite e esami o a dover rinunciare del tutto: nel 2024 lo hanno fatto 5,8 milioni di persone.

Ecco perché con l’imminente avvio dei lavori sulla Legge di Bilancio 2026 il dibattito sul (de)finanziamento della sanità non deve limitarsi al teatrino pre-Manovra, né allo scontro politico tra maggioranza e opposizione. Ma richiede un patto tra tutte le forze politiche che prescinda dagli avvicendamenti di governo: un impegno non negoziabile per rifinanziare progressivamente il fondo sanitario e avviare contestualmente riforme strutturali, anche se impopolari. Con l’obiettivo di restituire forza e dignità al Ssn e garantire un diritto costituzionale a tutte le persone, a prescindere dalla loro capacità di spesa e dal Cap di residenza.

Perché è vero che la crisi della sanità pubblica non è solo un problema di risorse; ma è altrettanto vero che senza risorse – da destinare anzitutto a rimotivare i professionisti sanitari – l’inalienabile diritto alla tutela della salute diventerà un miraggio sempre più lontano, soprattutto per le fasce più fragili della popolazione. Proprio quegli indigenti a cui la Repubblica deve garantire cure gratuite.

*Presidente Fondazione Gimbe