La sua immagine più recente è stata trovata in un tunnel sotto l’ospedale di Khan Younis. Il “fantasma” non ha più la capigliatura bianca incorniciata da una barba incolta, ma un pizzetto ben curato, nero come i capelli. La capacità di mimetizzarsi è una delle doti che hanno consentito a Izz al-Din al-Haddad, attuale capo militare di Hamas, di sfuggire alla caccia che gli dà l’esercito israeliano fin dal 2009, l’epoca del fallimento, per un soffio, del primo dei sei tentativi di eliminarlo. Questo non gli ha impedito di farsi intervistare con nome e cognome – sia pure travisato sotto un passamontagna – da “al Jazeera” a inizio 2025 per dire che «Israele, sostenuto da Stati Uniti e occidente, dovrà sottomettersi alle giuste richieste di Hamas».
Israele lo ha soprannominato «il grande assassino» e chi ha avuto la disgrazia di incontrarlo per ben cinque volte, come l’ex ostaggio Keith Siegel, rilasciato dopo 484 giorni, racconta del suo ebraico fluente e dell’apparente quanto inattendibile tentativo di mostrare gentilezza e preoccupazione per le condizioni dei rapiti, rivelando di essere «il responsabile di tutti i prigionieri». E difronte a chi si lamentava del trattamento duro di alcuni carcerieri assumeva l’improbabile tono da vecchio saggio: «La vita è così. Ci sono brave persone e cattive persone».
La scalata
La sua scalata ai vertici del terrore comincia fin dalla fondazione delle Brigate al Qassam, nel 1987, e lo porta nel 2021 a far parte del Consiglio militare di Hamas e al comando delle milizie di Gaza city, e poi al vertice delle brigate settentrionali, dopo l’uccisione di Ahmed Gandur. Ma al-Haddad, o Abu Sohaib, il nome di battaglia con cui lo chiamano i suoi, ha assunto un ruolo importante fin dalla preparazione del pogrom del 7 ottobre del 2023. Secondo fonti dell’intelligence israeliana poche ore prima del massacro di oltre milleduecento persone e il rapimento di altre duecentocinquanta, avrebbe consegnato ai suoi “graduati” un foglio su carta intestata dell’organizzazione per incitarli all’azione: «Credendo in una vittoria decisiva, il comando della Brigata ha approvato il lancio della grande operazione militare Al Aqsa Flood. Confidate in Dio, combattete con coraggio e agite con la coscienza pulita». Meno di un mese dopo, in novembre, le autorità israeliane rendevano noto di aver posto su di lui una taglia da 750mila dollari. Ma la sua capacità mimetica, la sua diffidenza verso chiunque – compresi gli uomini della sua scorta – e soprattutto i suoi trascorsi nella famigerata “intelligence” di Hamas, impegnata nella caccia ai collaborazionisti (veri o presunti) lo hanno aiutato fin qui a mettersi al riparo. Nel frattempo, a morire in un bombardamento dell’Israel defence Forces, sono due dei suoi figli, Suhaib e Moaz.
Il grande, decisivo salto nelle gerarchie del gruppo terroristico islamista al-Haddad lo compie dopo l’eliminazione di Mohamed Deif, l’“ombra”, il capo supremo, e del suo vice Marwan Issa. Dopo l’ombra, dunque è l’ora del fantasma.
Da allora, scrivono gli analisti militari sul quotidiano Maariv è balzato in cima alla “lista della vendetta” del 7 ottobre. E il ministro della Difesa Katz è ancora più esplicito: «I prossimi sarete voi: nella Striscia Izz al-Din al-Haddad e all’estero Khalil Hayya», uno dei negoziatori in Qatar. Secondo i servizi di sicurezza israeliani, in settembre, agli inizi dell’operazione dell’Idf nella città aveva sotto il suo comando oltre diecimila miliziani.
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