Moda e heritage: il passato delle maison è un patrimonio di codici estetici che ne definiscono l’identità. Il libro Archeologia della moda esplora i legami tra moda e passato nella contemporaneità, l’amore per i revival, il gusto per il vintage

Un miniabito di organza increspato di fiori ricamati apre la sfilata P/E 2022 di Valentino, esplicito tributo del direttore creativo Pierpaolo Piccioli al fondatore e alla sua Collezione Bianca del 1968. Sogno etereo e modernissimo, il vestito riprendeva fedelmente il look d’archivio della maison, diventando strumento di una nuova narrazione. Se la moda è un fiume che scorre con la storia del mondo e ne esprime il continuo desiderio di cambiamento, oggi l’heritage, cioè la valorizzazione delle proprie radici, diventa un aspetto fondamentale dell’identità di un brand.

La Jackie 1961 e il monogram perch la moda è ossessionata dall'heritage Così sta recuperando potere identitàGiacca da amazzone MorinBlossier 1902 MET.

Giacca da amazzone, Morin-Blossier, 1902, MET.

«Una tendenza nata con l’affermarsi della globalizzazione alla fine negli anni 90, quando i poli del lusso hanno iniziato la scalata a marchi con una storia importante»

«Una tendenza nata con l’affermarsi della globalizzazione alla fine negli anni 90, quando i poli del lusso hanno iniziato la scalata a marchi con una storia importante, puntandone al rilancio», spiega Sofia Gnoli, storica della moda, professoressa all’Università Iulm e curatrice, che al tema ha dedicato il libro Archeologia della moda, in uscita questo mese per Carocci. «In un mondo in cui tutto corre velocissimo, la moda riparte dalla storia, dal passato, dall’heritage. Gli archivi diventano allora un punto di partenza per comprendere il presente e costruire il futuro». Per una griffe è fondamentale possedere pezzi storici: l’archivio è il referente d’elezione, la linfa del processo creativo, e l’abito una sorta di reperto e preziosa risorsa di memorie.

«I brand utilizzano l’heritage da una parte per recuperare pezzi iconici da rileggere e citare, dall’altra per promuovere il brand. È in questo senso che va letta la valorizzazione dell’archivio attraverso musei aziendali, mostre e prestiti a celebrità in occasioni altamente mediatiche», spiega Gnoli, che mappa in un capitolo gli archivi più importanti della moda, tra cui quello di Dior, conservato a Parigi, che oggi conta circa 10mila tra abiti, tessuti, accessori, o di Gucci a Firenze, con più di 40mila creazioni di cui oltre 5mila borse e 2mila pezzi di valigeria.

Abiti di carta alla mostra Mr amp Mrs Clark. Ossie Clark and Celia Birtwell. Fashion and Prints Museo del Tessuto Prato.

Abiti di carta alla mostra Mr & Mrs Clark. Ossie Clark and Celia Birtwell. Fashion and Prints, Museo del Tessuto, Prato.

mario ciampiIl ruolo del direttore creativo

In un contesto che mira ad accrescere il potere simbolico di un marchio, il direttore creativo ha un ruolo chiave: con la sua visione l’archivio supera il tempo e ogni riferimento alla tradizione trasfigura in qualcos’altro e diventa segno di modernità. «Come ha fatto Pierpaolo Piccioli da Valentino con il progetto Archive, e prima Tom Ford da Gucci, che ha riletto i codici identificativi della maison senza stravolgerli, dal tessuto con la doppia G alla riedizione di storiche borse come la Jackie 1961», continua Gnoli. Oggi, con l’incertezza diffusa nel sistema moda, testimoniata anche dai numerosi cambi di direttori creativi nelle aziende del lusso, la ricerca del nuovo non passa dall’invenzione asettica e fine a se stessa, ma scava nella memoria, guarda all’heritage. Che significa conoscenza tecnica e sapienza del fare, e prima ancora del sentire.