L’abbiamo visto fare praticamente di tutto, dall’ironia corrosiva del Portalettere al palco imponente del Festival di Sanremo accanto a due colonne della tv italiana come Mike Bongiorno e Pippo Baudo. Oggi, Piero Chiambretti torna con una nuova avventura, Fin che la barca va, in onda dal 6 ottobre – con la seconda stagione – alle 20,15 su Rai 3. Un talk-show itinerante – letteralmente – che si svolge su un battello che naviga lungo il Tevere. Ma dietro l’ennesimo esperimento c’è un pensiero più profondo: la tv che cambia, che non rischia, che a volte si limita a ripetere se stessa.
Le parole di Piero Chiambretti su La Ruota della Fortuna
“Non parlatemi di ottobrate romane, non esistono più” scherza Piero Chiambretti sulle colonne de La Repubblica, ricordando però quanto sia “sofferta” la trasmissione, tra umidità e fiume. Il debutto sarà però, sotto un certo aspetto, terapeutico: primo ospite don Filippo Di Giacomo, vaticanista ed esperto di Chiesa. Poi toccherà a Clemente Mastella, definito da lui beatificabile, simbolo di una politica che – piaccia o meno – ha segnato un’epoca.
La scelta degli ospiti segue una regola precisa: “Cerco figure che trattino gli argomenti in modo originale, lontano dal treno di interviste che invade i palinsesti”. È anche un modo per distinguersi in una tv che, secondo il conduttore, vive più di memoria che di sperimentazione. “La Ruota della Fortuna ne è la prova: Pier Silvio Berlusconi ha rilanciato un programma di 40 anni fa, mettendo in difficoltà idee più contemporanee. Il pubblico si rassicura con ciò che conosce“.
Le considerazioni su Telemeloni
Piero Chiambretti, che ha attraversato la televisione pubblica e privata, oggi osserva con uno sguardo critico quello che definisce un sistema scientifico: si calcolano follower, numeri e algoritmi, dimenticando il calore del contatto. Un mondo che riflette, a suo dire, una società più cinica, in cui l’appartenenza – a una Rete, a un giornale, persino a una squadra di calcio – è sbiadita.
E quando parla di TeleMeloni, non si nasconde: “Credo che esista, perché molti dirigenti e l’amministratore delegato si riferiscono alla presidente del Consiglio. Ma era così anche in passato, con altri partiti. Il problema non è la raccomandazione: se il raccomandato è bravo, non c’è scandalo. La tv è lo specchio della realtà, come in una pizzeria dove lavora l’amico del fratello del proprietario”.
Non manca una riflessione sul fenomeno della cronaca nera che ha invaso i palinsesti, trasformando la tv in una sorta di tribunale elettronico: “Se potessero, ucciderebbero qualcuno per fare ascolto”, dice tradendo una punta di amarezza, mascherata dalla sua solita ironia.
Sul piano personale, Chiambretti guarda al tempo che passa con filosofia. L’anno prossimo compirà settant’anni, ma non teme l’età: “Mi sento brillante, ho un buon Dna e non andrò dal chirurgo. L’esperienza è la vera forza”. Con la figlia Margherita, adolescente rapida e curiosa, cerca di restare al passo. “Le piace Sfera Ebbasta, e io mi interrogo, ma i ragazzi hanno un linguaggio che a volte non possiamo capire”. E se gli si chiede cosa lo spaventi di più, la risposta è sorprendentemente semplice: “Il futuro. Una volta si pianificava, oggi si pensa a stasera”. La conclusione è amara ma lucida: “La felicità non esiste. Oggi significa soffrire il meno possibile, non ammalarsi, non avere incidenti. In sostanza, vivere schivando i problemi”.