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Il Giappone ha eletto la sua prima premier donna. Sanae Takaichi, leader del partito Liberal Democratico. La reazione dei mercati è stata netta e, quantomeno a caldo, focalizzato sul bicchiere mezzo pieno innescando un movimento che gli operatori hanno già ribattezzato come “Takaichi trade”. La Borsa di Tokyo ha chiuso con un rialzo del 4,75% aggiornando nuovi massimi storici, lo yen si è indebolito di quasi due punti percentuali in una sola seduta nei confronti del dollaro mentre la curva dei rendimenti dei titoli di Stato si è impennata, segnando un forte steepening.

Come mai? È come se i mercati avessero trovato in questa leadership la conferma di una traiettoria che unisce stimolo fiscale e politica monetaria accomodante, in una miscela che ricorda per certi versi l’Abenomics, ma in versione ancora più aggressiva.

Nel mercato azionario sono partiti acquisti massicci su settori strategici come difesa, semiconduttori e industria pesante, quelli che meglio incarnano il concetto di “sicurezza economica” su cui la nuova premier ha insistito in campagna. Non si tratta solo di ottimismo di breve periodo: l’aspettativa è che Takaichi, considerata una “colomba fiscale”, aumenti la spesa pubblica e faciliti interventi di stimolo a favore dell’industria nazionale.

Il rovescio della medaglia si è visto immediatamente sul mercato valutario. Lo yen ha perso terreno in modo brusco con un calo di quasi due punti percentuali nei confronti del biglietto verde. Dal punto di vista tecnico il cambio dollaro/yen è tornato a lambire l’importante resistenza in area 150. È la risposta logica a un contesto in cui la Banca del Giappone viene percepita come ancora più lontana da un inasprimento della politica monetaria. Se il governo spinge sulla leva fiscale e la BoJ mantiene il piede sull’acceleratore, il differenziale con i rendimenti americani ed europei non può che allargarsi, con effetti immediati sul cambio. L’indebolimento dello yen, in parte desiderato per sostenere le esportazioni, porta con sé però un rischio non secondario: l’aumento dei costi di importazione, soprattutto energetici, con conseguenze sull’inflazione.

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Proprio i rendimenti dei bond giapponesi hanno offerto un’altra chiave di lettura. Mentre le scadenze brevi si sono mantenute stabili, riflettendo la convinzione che la Boj non toccherà i tassi nel breve, quelle lunghe hanno iniziato a salire con decisione. I trentennali sono balzati al 3,3% e i quarantennali al 3,4% non lontani dai massimi storici di qualche settimana fa, segnale che il mercato sconta una maggiore offerta futura di debito e un rischio più elevato di pressioni inflazionistiche. Il risultato è stato un netto steepening della curva, movimento che fotografa bene la combinazione tra aspettative di più spesa pubblica e tassi ufficiali ancora ancorati a livelli minimi.