di
Giusi Fasano
Primo round di incontri tra Hamas e i mediatori arabi. Le famiglie degli ostaggi: «Nobel al tycoon»
DALLA NOSTRA INVIATA
TEL AVIV – Sono in pochi, al tavolo delle trattative. Ma è come ci fosse il mondo intero. Il Medio Oriente, l’Europa, gli Stati Uniti, la Russia, i Paesi orientali… tutti (o quasi) sperano che a quel tavolo venga finalmente invitata l’ospite più attesa, la pace.
A Sharm el-Sheikh, in Egitto, ieri sono partiti i negoziati sull’accordo per il cessate il fuoco a Gaza voluto dal presidente Usa Donald Trump e dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. Primo incontro in scaletta: mediatori arabi con la delegazione di Hamas guidata da Khalil al Hayyah, l’islamista che Israele ha cercato invano di uccidere un mese fa con un attacco mirato a Doha, in Qatar.
Tappa successiva: mediatori-Israele, che ha come capo negoziatore Ron Dermer, dopodiché gli stessi mediatori discuteranno con tutte e due le parti prima che (forse domani) si uniscano ai colloqui anche l’inviato Usa in Medio Orienta Steve Witkoff e il genero (e consigliere non ufficiale) di Trump Jared Kushner.
Niente dichiarazioni ufficiali sulle richieste delle parti. Israele tace mentre circolano da giorni indiscrezioni su quel che Hamas vorrebbe modificare e sui nomi dei prigionieri vorrebbe liberi dalle carceri israeliane in cambio degli ostaggi, compreso il capo di Fatah Marwan Barghuthi.
«Chiedo a tutti di agire rapidamente» ha scritto via social Trump che spinge dal primo giorno, dopo il sì di Hamas alla liberazione degli ostaggi, non soltanto sulla tempistica ma anche con le minacce continue contro il gruppo terroristico nel caso che faccia saltare tutto. «Il tempo è essenziale, altrimenti seguirà un massiccio spargimento di sangue, qualcosa che nessuno vuole vedere», è la sua ultima esortazione. E poi la rivelazione su colloqui informali già avvenuti «nel fine settimana»: «Ci sono state discussioni molto positive con Hamas e con Paesi di tutto il mondo (arabi, musulmani e altri) per raggiungere finalmente la tanto cercata PACE in Medio Oriente».
Con la parola pace scritta così, in maiuscolo.
Mentre lui era impegnato in quel commento, a quasi 10 mila chilometri di distanza il primo ministro israeliano, che tutti qui chiamano Bibi, era al telefono con il presidente russo Vladimir Putin. Una chiamata proprio sul piano di pace per Gaza, confermata poi dall’agenzia Tass: «Vladimir Putin ha ribadito la posizione incrollabile della Russia a favore di una soluzione globale della questione palestinese sulla base del diritto internazionale».
Il Forum delle famiglie degli ostaggi israeliani ha fatto sapere ieri di aver inviato una lettera al Comitato per il Premio Nobel per la pace, chiedendo che il presidente degli Stati Uniti riceva l’onorificenza. «Abbiamo vissuto un’oscurità indescrivibile», scrivono, e «per la prima volta da mesi, speriamo che il nostro incubo finisca finalmente». E al Comitato: «Vi imploriamo di assegnare il Premio Nobel per la pace al presidente Donald Trump».
6 ottobre 2025
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