di
Flavio Vanetti

Ieri la stella dei Lakers aveva annunciato «la decisione delle decisioni»: in molti pensavano al ritiro, ma è solo marketing

Detto come va detto: era solo una «marchetta» orrenda. A favore del marchio di un cognac con il quale brinderà alla stagione numero 23 – la prossima in arrivo – della sua carriera nella Nba. La «second decision» di LeBron James non ha nulla a che vedere – a parte la camicia a quadretti bianca e rossa usata già all’epoca – con quella del 2010, quando, sorprendendo tutti con una diretta televisiva che fece scalpore (e che fece inferocire i tifosi di Cleveland), annunciò «che avrebbe portato il suo talento a South Beach», ovvero che sarebbe passato ai Miami Heat della costituenda triade LBJ-Dwyane Wade-Chris Bosh, diventata quella dei «tre tenori».

Quindi nessun addio dopo l’annata 2025-2026, che lo porterà a esaurire il contratto (ricco) con i Los Angeles Lakers. E nessuna voglia – almeno per ora – di lasciare tra un anno la LA gialloviola e di rimettersi in gioco, come free agent e a dispetto dei 41 anni che avrà, da qualche altra parte (la fila ci sarebbe già: New York Knicks e Dallas Mavericks non hanno fatto mistero che lo firmerebbero al volo, ndr). E pure, sempre il momento, nessun proposito di estendere la formidabile carriera con i Lakers, con i quali ha vinto magari meno del previsto ma grazie ai quali ha visto fioccare record su record, a cominciare dal primato di punti tolto a Kareem Abdul-Jabbar. No, nulla di tutto questo. Il LeBron della seconda decisione è quello che porterà, «in autunno» (precisazione stagionale voluta), il suo talento, anzi il suo gargarozzo, a scolarsi qualche bottiglia di Hennessy V.S.O.P. – massì, con tutto quello che avrà speso per ingaggiarlo scriviamo pure il nome del produttore del liquore –, alla faccia sua, dei compagni di squadra e dei grulli che già trepidavano nell’attesa della «madre di tutti gli annunci». Ci ha pure preso per i fondelli, facendo il verso al proclama – quello sì tosto – di 15 anni fa: «E’ stata una decisione sofferta».



















































In verità alla vigilia girava l’indiscrezione che sarebbe stata una trovata pubblicitaria e di marketing. Già, perché lasciare, nonostante l’età e qualche acciacco che qua e là lo porta a fermarsi? Tutto sommato il Prescelto fa ancora la differenza e ha sempre voglia di vincere, magari per bissare il titolo del 2020 con i Lakers e di aggiungerlo, facendo cinquina, agli altri tre (due con Miami e uno con Cleveland). Non solo: da un anno gioca con il figlio Bronny e se tiene duro almeno per una stagione potrebbe avere la chance di trovare nella Nba, come compagno o come avversario, pure il secondogenito, Bryce Maximus (dalla moglie Gloria, ricordiamo, ha pure una figlia, Zhuri). E perché pensare di abbandonare Los Angeles, culla di una realtà extra basket che va in qualche modo seguita e che vale una palata di soldi, di sicuro non inferiori a quelli che trova nella busta paga del club?
Chi tifa Lakers tira un sospiro di sollievo perché l’idolo non si ritira e la maglia numero 23 resterà sempre un riferimento. Chi sogna di averlo tra 12 mesi si mette invece in stand-by e pazienta, mentre chi gli è nemico non mancherà di riservargli lazzi e sberleffi per questa trovata che non ci sorprende né ci scandalizza – nell’era della comunicazione globale e, appunto, delle marchette, funziona così – ma che ci fa anche dire: un «cinema» del genere meritava una causa ben più nobile.

7 ottobre 2025 ( modifica il 7 ottobre 2025 | 18:26)