di
Ruggiero Corcella
Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia (FIGO) e la Confederazione Internazionale delle Ostetriche sollecitano una migliore prevenzione, diagnosi più rapida e trattamenti tempestivi per affrontare la principale complicanza del parto a livello mondiale
È l’incubo delle sale parto: l’emorragia post-parto (PPH), ossia la perdita eccessiva di sangue dopo la nascita di un bambino. Colpisce milioni di donne nel mondo e ogni anno provoca circa 45 mila decessi, rendendola una delle principali cause di mortalità materna a livello globale. Anche quando non è fatale, può avere conseguenze fisiche e psicologiche durature: da gravi danni d’organo a isterectomie, ansia e traumi. Eppure, nella grande maggioranza dei casi, la tragedia è evitabile.
Per questo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), la Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia (Figo) e la Confederazione Internazionale delle Ostetriche (Icm) hanno pubblicato nuove raccomandazioni, presentate il 5 ottobre al Congresso Figo di Città del Capo. Il documento scientifico introduce nuovi criteri diagnostici oggettivi per rilevare la PPH, basati sul più grande studio mai condotto sull’argomento pubblicato anch’esso oggi su The Lancet.
Un documento che, nelle parole degli esperti, «segna una svolta» nella prevenzione, nella diagnosi e nel trattamento delle emorragie post-partum.
L’urgenza del cambiamento
«L’emorragia post-parto è la complicanza ostetrica più pericolosa, perché può peggiorare in pochi minuti. Ma i decessi si possono evitare con cure adeguate e tempestive», sottolinea Jeremy Farrar, vicedirettore generale Oms. . «Queste linee guida sono state progettate per avere il massimo impatto laddove il carico è maggiore e le risorse più limitate – per aiutare più donne a sopravvivere al parto e tornare a casa dalle loro famiglie».
Che cos’è l’emorragia post-partum?
Tradizionalmente, la PPH viene definita come una perdita superiore a 500 mL di sangue entro le prime 24 ore dal parto vaginale (o oltre i 1000 mL in caso di cesareo). Oggi però i criteri si stanno evolvendo: le nuove raccomandazioni Oms, Figo, Icm consigliano di agire già a 300 mL di sangue perso se accompagnati da segni vitali anomali, perché aspettare soglie più alte significa spesso arrivare troppo tardi.
Più che il numero preciso, conta la rapidità con cui il sanguinamento compromette la stabilità della donna: tachicardia, calo pressorio, pallore e alterazioni dello stato di coscienza sono campanelli d’allarme da non sottovalutare.
Quali sono le cause?
Le cause classiche si riassumono nelle cosiddette «4 T».
Tone (atonia uterina): l’utero non si contrae dopo il parto e i vasi restano aperti. È la causa più frequente, responsabile del 70-80% dei casi.
Trauma: lacerazioni di cervice, vagina o perineo non diagnosticate.
Tissue: residui placentari o anomalie di inserzione della placenta.
Thrombin: difetti della coagulazione, congeniti o acquisiti.
Fattori di rischio noti sono: anemia materna, gravidanze multiple, parti molto rapidi o prolungati, peso fetale elevato, episiotomia, precedenti emorragie post-partum.
I numeri nel mondo, in Europa, in Italia
La PPH è tra le principali cause di mortalità materna. Circa 14 milioni di donne l’anno sperimentano un’emorragia post-partum nel mondo; la complicanza è responsabile di 20–25% delle morti materne globali. Le stime variano da 45 a 70 mila decessi l’anno. In Europa la prevalenza di PPH (≥500 mL) è stimata intorno al 13% dei parti. Nei Paesi ad alto reddito la mortalità è rara, ma i tassi di PPH non sono trascurabili. In Italia: la mortalità materna complessiva è di circa 8–9 per 100.000 nascite, con l’emorragia ostetrica come prima causa diretta. Le stime parlano di circa 1,9 decessi per 100.000 nascite attribuibili a emorragia. Il sistema di sorveglianza nazionale ItOSS segnala che i certificati di morte sottostimano fino al 60% dei casi reali. Un progetto multicentrico (MOVIE) ha evidenziato che, pur con buoni risultati complessivi, non tutte le raccomandazioni vengono applicate in modo uniforme nei diversi ospedali.
Il «pacchetto MOTIVE»
Una volta diagnosticata l’emorragia, la raccomandazione dell’Oms è di attivare immediatamente un protocollo standardizzato: il cosiddetto «pacchetto MOTIVE», che comprende:
-Massaggio dell’utero, per stimolare la contrazione;
-Ossitocici (come ossitocina o carbetocina) per favorire la retrazione uterina;
-Acido tranexamico (TXA), farmaco che riduce la perdita ematica;
-Fluidi endovenosi, per sostenere la circolazione;
-Esame del canale del parto, per individuare eventuali lacerazioni;
-Escalation delle cure (chirurgia o trasfusioni) se il sanguinamento persiste.
In rari casi di persistenza, le linee guida raccomandano anche interventi come la chirurgia o la trasfusione di sangue per stabilizzare in sicurezza la donna fino a ulteriori trattamenti.
«Le donne colpite da PPH hanno bisogno di cure rapide, praticabili, efficaci», dice Beatrice Kihara, presidente Figo. «Queste linee guida adottano un approccio proattivo: prontezza, riconoscimento e risposta. Sono pensate per avere un impatto reale, consentendo agli operatori sanitari di fornire cure appropriate, al momento giusto e in contesti molto diversi».
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Non solo emergenza: la prevenzione
Il documento non si limita all’intervento acuto, ma punta a ridurre i fattori di rischio. Centrale è la lotta all’anemia materna, frequente soprattutto nei Paesi a basso reddito e medio reddito. L’anemia aumenta la probabilità di PPH e peggiora gli esiti in caso di insorgenza. Le raccomandazioni includono:
supplementi quotidiani di ferro e acido folico in gravidanza; ferro endovenoso in caso di correzione urgente o dopo PPH; strategie preventive come il massaggio perineale in gravidanza, che riduce il rischio di traumi e sanguinamenti al parto. Il documento sconsiglia pratiche obsolete come le episiotomie di routine. E ribadisce l’importanza, durante il terzo stadio del travaglio, di somministrare un uterotonico di qualità garantita: ossitocina se disponibile, oppure carbetocina termo-stabile o, come ultima opzione, misoprostolo.
Investire sulle ostetriche
«Le ostetriche sanno bene quanto rapidamente un’emorragia post-partum possa degenerare e costare vite umane», rammenta Jacqueline Dunkley-Bent, ostetrica capo Icm. «Queste linee guida sono rivoluzionarie. Ma per porre fine ai decessi prevenibili da PPH serve più dell’evidenza scientifica: servono governi, sistemi sanitari, donatori e partner che le adottino rapidamente e investano nelle ostetriche e nella salute materna, affinché l’emorragia post-partum diventi una tragedia del passato».
Implementazione e formazione
Per facilitare l’adozione, Oms e partner hanno sviluppato moduli formativi pratici, guide nazionali e simulazioni di emergenza, in collaborazione con Unfpa e finanziamento della Fondazione Gates.
Un piano globale
Le nuove raccomandazioni – 51 in totale – sono le prime ad affrontare in modo unitario la prevenzione e la gestione del PPH. Si inseriscono nel Global Roadmap for Combatting PPH 2023–2030, che punta a eliminare le morti evitabili da emorragia post-partum nel prossimo decennio. Il tutto poggia su solide basi scientifiche: le linee guida sono state elaborate anche grazie a un mega-studio coordinato dall’Oms e dall’Un Special Programme on Human Reproduction, che ha analizzato i dati di oltre 300 mila donne in 23 Paesi. I risultati sono stati pubblicati in contemporanea su The Lancet, insieme a un editoriale di commento su The Lancet Global Health.