Al film interessa più che altro la sua protagonista e la maniera in cui matura un rapporto con la morte che modifica poi i rapporti con le altre persone, la porta a rivedere molto della vita fino a raggiungere tranquillità, serenità e armonia che non aveva prima. È la materia perfetta per il cinema, è quello che fa meglio: mostrare come la trasformazione di un punto di vista sul mondo trasformi anche le persone e susciti (nei personaggi, ma di riflesso negli spettatori) sentimenti per i quali non c’è un nome eppure sono facili per tutti da riconoscere. Eppure Tre ciotole non riesce mai a comunicare tutto questo, soprattutto perché si affida a una forma stantia e a un pugno di immagini che dovrebbero dire molto e invece non dicono nulla.

Isabel Coixet è molto legata alle scene madri, quelle concentrano in un apice idee ed emozioni che hanno ribollito fino a quel punto, che tuttavia sempre di meno in realtà fanno parte del cinema contemporaneo, eppure tutti i momenti cruciali di questo film, a partire da quello rivelatore che si svolge di giorno, sull’isola tiberina, accanto al Tevere e che culmina con uno strano e imprevedibile abbraccio, suonano stonati. Non è solo che il film non riesce mai a costruirli a dovere, cioè non arriviamo preparati, ma anche le scene in sé sono goffe e un po’ ingenue nello svolgimento. Il resto della storia attorno ad essere è la costruzione di tanti intrecci che rimarrano insoluti per l’arrivo della morte, tanti rapporti diversi che prendono forme diverse in un caos da cui non emerge granchè. Non se ne abbiano a male gli spettatori che hanno un legame con il romanzo o quelli che sentiranno un legame forte con il film e la storia dietro al film, rimane materia sentimentale e commovente. Solo che lo è più per ciò che gli sta intorno che per quello che il film in sé fa.

Tre ciotole perch il film tratto dal romanzo di Michela Murgia è un involucro vuoto

Vision Distribution