di
Elisabetta Andreis

Tra Palazzo Parigi e Brera sono in corso le riprese del film con le star di Hollywood. Le comparse ricevono comunicazioni poche ore prima, qualcuno viene scartato seduta stante. E c’è chi è stato assoldato solo per passare in macchina (la sua). Erano 7 mila ai casting, uno su quattro è stato opzionato

È domenica sera. Squilla il telefono. «Domani alle 11.30 all’angolo di Fatebenefratelli. Porta l’auto con il pieno, pulita. Dress code: non appariscente». Milano ha spento i computer quando il set di «Il diavolo veste Prada 2» si accende. Le chiamate arrivano all’ultimo per depistare curiosi e scatto facile. Il copione delle comparse comincia così: messaggio secco, zero dettagli – e via a stirare l’abito buono, anche se non sarà quello di scena.

La mattina, all’ora definita, venticinque macchine in colonna, altre comparse a piedi, dieci scartate in corsa con un cenno: «Numeri sbagliati, scusate». Capita. Il resto è rigore. Accordi di riservatezza blindatissimi, bocche cucite, telefoni spenti: niente foto, niente storie sui social, niente spoiler. Si aspetta. Si prova. Il primo ciak è alle 19.30. Dalla mattina alla sera un elastico teso: sosta in auto, micro-brief. Poi, finalmente, la carovana: da Palazzo Parigi giro largo tra San Marco, via Montebello e Porta Nuova.
Tra gli alberi, fari che rasano i cornicioni, walkie-talkie che gracchiano nomi in codice, odore di lacca e cavi caldi: la città cambia pelle in un minuto. «Non ho visto Anne Hathaway», sospirava uno studente di Medicina con il sogno di finire nell’inquadratura: casting allo showroom Riccardo Grassi, centinaia di persone in fila. Venerdì sera gli hanno dato la conferma, ma solo per passare in macchina. I dettagli dopo. E lunedì mattina lui era lì, con la sua auto. Intorno la città oscilla: pick-up, van, staffette, transenne che migrano, traffico che si ferma.



















































Per ieri l’ordine era diverso: via Santo Spirito, via Gesù, via Montenapoleone. La Milano glamour che indossa il passo giusto della moda. Ballerini ingaggiati apposta per attraversare la strada leggeri, quasi sospesi: comparse che sfiorano la scena senza capirla mai del tutto.
C’è chi è abituato e chi è alla prima volta. Ai casting si sono presentati in settemila, uno su quattro è stato opzionato. Una hostess col volo il giorno dopo. Uno psicoterapeuta. Un barista. Un commesso del Leroy Merlin. Una stilista in pensione. Una prof del linguistico con i compiti da correggere. Di tutto. È la parte bella: conoscere persone che altrimenti non incontreresti mai, scambiarsi storie, taglie, trucchi. La parte meno glamour è il compenso: cento euro lordi a giornata, centocinquanta se serve l’auto in scena. L’industria non fa sconti: il cinema regala brividi, non stipendi.
Ma la sorpresa più rumorosa è silenziosa: una controfigura per Meryl Streep. Stessa linea, stesso portamento, stesso taglio. Serve a reggere ritmi frenetici, alle prove luci, ai raccordi; e forse anche a depistare i ficcanaso. Mentre tutti cercano lo sguardo, il film si sposta due strade più in là. Milano collabora, non parla. E si traveste. Dove?

Quartier generale in via Tortona, davanti al Mudec, dentro un capannone industriale ribattezzato «Spazio Quattrocento»: griglie di luci, specchi, tralicci e soprattutto file lunghissime di abiti appesi, centinaia di taglie. Chiamata a piccoli gruppi, scaglionati, ma l’elenco dei nomi arriva a cento. Una manciata di addetti solo per scegliere i vestiti, una persona per la prova di trucco e parrucco, altri al computer che prendono nota, studiano location, scattano al look la foto: «Serve per ricrearvi identici quando sarete sul set». La prima regola è spietata e necessaria: nessuna comparsa deve essere riconoscibile. Niente loghi, niente capi vistosi, tatuaggi coperti, gioielli ridotti al minimo. Eleganti, sì, ma invisibili: lo sfondo che tiene il ritmo, non la nota che stona.

Un manager in pensione si fa la trafila — due ore di prove costumi — «trascinato da mia moglie». Li preparano da gara, per un «pranzo elegantissimo» settimana prossima: lui in nero, lei in lungo di chiffon. «Quando è uscita dal camerino era come alla festa del matrimonio», alza gli occhi il marito. La location del ciak è segreta: tutti pensano “Parigi”, ma a Milano. La città che si presta e si nasconde, che fa la splendida e poi si schermisce dietro i teli neri.
A fine giornata le comparse se ne vanno coi piedi che fanno male, la testa piena di conoscenze nuove, l’occhio che cerca i divi di Hollywood. Per una volta stare sullo sfondo basta e avanza. Perché due minuti stellari in campo lungo — quando l’inquadratura è giusta — sono ricordi da raccontare.


Vai a tutte le notizie di Milano

Iscriviti alla newsletter di Corriere Milano

8 ottobre 2025 ( modifica il 8 ottobre 2025 | 07:08)