di
Marta Ghezzi
Tra militanza e intuizioni, il compleanno della radio che ha iniziato a trasmettere nel minuscolo studio «metrocubo» in Buenos Aires. La direttrice Ghidini: «Abbiamo vissuto anche crisi, nel 2008 ci siamo tagliati lo stipendio. Ma siamo una famiglia allargata»
Radio Popolare nasce il 24 dicembre 1975. Batte d’anticipo il Bambin Gesù perché alla vigilia di Natale il Tribunale di Milano osserva un orario ridotto, solo la mattina. Da quando il monopolio di stato sull’etere è saltato, in Italia spuntano radio come funghi, quasi una al giorno, ecco l’urgenza della corsa in quella data anomala, per non rischiare di farsi rubare il nome che, al di là del richiamo politico — i padri fondatori appartengono ai sindacati, Fim, Fiol, Uil, e a sigle politiche, Lotta Continua, Autonomia Operaia e Pdup — esprime con forza il concetto «è di tutti».
Le trasmissioni non partono immediatamente, ma dopo Capodanno, nel ’76. E qui, rispetto alle celebrazioni del cinquantesimo, si insinua il dubbio: festeggiare nel 2025 o nel 2026? Decisione salomonica: l’attacco sabato 11 al Teatro Carcano con «Quelli che il ’75» — sul palco a narrare, suonare, divertire, Piero Colaprico, Massimo Cirri, Sandrone Dazieri, Camilla Barbarito…—, e appuntamenti e sorprese anche nel prossimo anno.
Gli inizi. Il primo studio di registrazione, in corso Buenos Aires, è così minuscolo da essere battezzato «metrocubo».
Da lì, il 7 dicembre 1976, va in onda una memorabile diretta della contestazione della Prima della Scala. Una sorta di spartiacque per la radio guidata da un ex giornalista della Rai, Piero Scaramucci. «Gli incidenti raccontati dai cronisti dalle cabine telefoniche, fu qualcosa di rivoluzionario», ricorda Marcello Lorrai, già direttore dei programmi. È lo stacco dalle concorrenti, la patente di autorevolezza: chi vuole capire cosa succede a Milano — e nel mondo: nello stesso anno per la morte di Mao aveva parlato la sinologa Edoarda Masi —, si sintonizza sulle frequenze medie 107.6. «Convince la totale libertà, la radio è di sinistra ma indipendente, non è il megafono di alcun partito».
A piacere è anche la possibilità di far sentire la propria voce. «Anche la Rai manda le telefonate, ma controllate, epurate, mentre lo spazio del “microfono aperto”, ancora oggi partecipato, non ha mediazioni, chi chiama va in onda senza filtri».
Le intuizioni sulle direzioni, le anticipazioni rispetto ai tempi, sono continue, e non solo sul versante socio-politico: c’è il lancio del programma in lingua araba per gli immigrati, la rubrica sul mondo gay, i notiziari regionali, ma anche il fenomeno «Bar Sport», «quel commento così poco rituale sulle partite di calcio fa scuola, e raccoglie un pubblico trasversale. La Gialappa’s, fra l’altro, esce da lì».
Intanto la radio cresce e cambia casa, zona Pasteur, poi piazza Santo Stefano, via Stradella, fino all’approdo finale in via Ollearo, dove è oggi. Non ha già più una connotazione solo metropolitana, con la creazione di Popolare Network il bacino di utenza si è allargato, «diventando un marchio, anche se per i milanesi che ci seguono dall’esordio è diverso, è comunità», sostiene Lorenza Ghidini, attuale direttrice. Il robusto legame con la città è dimostrato dall’originale sistema di finanziamento, l’abbonamento, lei rivela «è la prima voce del bilancio, le quote dei sedicimilacinquecento abbonati superano le entrate pubblicitarie».
Il volto odierno. «In onda dalle sei del mattino alle 23 con un palinsesto ricchissimo, che mescola informazione alla musica. Fra i cult c’è la storica rubrica Esteri, e Il Demone del tardi, le belle novità sono M7, il magazine settimanale dedicato a Milano, e Volume, la striscia quotidiana di proposte musicali». Trenta giornalisti fissi, collaboratori sparsi per il paese, corrispondenti dalle capitali europee e da New York. Sugli ascoltatori Ghidini è sincera. «L’età media è alta, lo zoccolo duro sono gli over 60, catturare i giovani è un’impresa ardua perfino per radio più commerciali della nostra. I dati sullo share indicano che abbiamo circa 460 mila ascoltatori a settimana».
Momenti bui e di felicità. «Nel 2008 abbiamo avuto una crisi economica spaventosa, ci siamo autoridotti gli stipendi. La gioia? Gli eventi che organizziamo, quando l’impegno politico si sposa all’intrattenimento e sentiamo di aver dato vita a una grande famiglia allargata».
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8 ottobre 2025
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